1 maggio : Festa del lavoro, tradito, vilipeso; del lavoro che non c’é o che, in moltissimi casi ormai, si rischia di perdere. Forse meglio sarebbe dire Festa del non lavoro?
Lavoro tradito e vilipeso dall’imbroglio, che ben si alimenta in un sistema orribile come quello italiano, dove tutto è possibile, tranne le politiche sane che prendano, in un momento di così grave emergenza, a chi più ha e a chi ha rubato in questi anni, per accelerare la fatidica ripresa, che non ci potrà essere senza il lavoro. Questo lo capiscono anche i profani che non sanno di economia, questa “scienza” che, ci dicono, è caratterizzata da corsi e ricorsi fatali e ineluttabili: “E’ così e basta, non si può fare altrimenti” (sarà vero?!) oppure “Siamo tutti nella stessa barca!” Con la differenza, poi non tanto sottile, che ci sono quelli che remano in questa barca, magari di loro proprietà, abbronzandosi al sole e attraccando in un porto delle Seychelles o delle Maldive pagando migliaia di euro a notte, e poi ci sono i disoccupati, gli esodati, i licenziati, i de localizzati, i cassintegrati, le vittime (morti, feriti, invalidi) sul lavoro, i lavoratori in nero, i suicidati. E poi, i pensionati da 500 euro al mese, i ricercatori vessati, gli insegnanti umiliati, i plurilaureati che lavorano (e per questo si sentono pure fortunati!) nei call center ecc. ecc.
C’è da festeggiare? Sì, sempre e comunque. Non festeggiare significherebbe abbandono, rinuncia. Festeggiare per ricordare le lotte che sono state fatte per e in difesa del lavoro, per quei diritti che vorrebbero anche toglierci, festeggiare per mobilitarci, lottare e…sperare.