REGGIO CALABRIA – “Le Resistenti – ieri e oggi”, la mostra ideata e organizzata dall’Unione Donne in Italia di Reggio Calabria in occasione del 70° anniversario dei GDD – Gruppi di Difesa della Donna – e della nascita dell’UDI nazionale (8 marzo-25 aprile) presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio con un’estensione alla Biblioteca comunale, propone per domani un doppio appuntamento: ore 16:30 “Le Resistenti sul grande schermo” a cura del prof. Nicola Petrolino esperto e critico di cinema, e alle 17:30 “Non ci è stato regalato niente” (2014) di Eric Esser, in prima regionale. E’ la storia della partigiana Anita “Laila” Malavasi, un percorso di emancipazione lungo tutta una vita ed iniziato con la lotta di liberazione contro il fascismo. Laila e due sue compagne, Gina “Sonia” Moncigoli e Pierina “Iva” Bonilauri, raccontano della propria esperienza nella Resistenza e di cosa essa abbia significato per loro e per molte altre donne.
Una mostra documentaria divisa in tre parti: formazione dei gruppi di difesa della donna nella Resistenza, la nascita dell’UDI – che deriva dai gruppi di liberazione della donna – e una graphic novel (testo Marsia Modola, disegni Reno Ammendolea) pensata per sensibilizzare i giovani, così distanti dalla nostra storia, richiesta dal Museo del Fumetto di Milano per esporre in contemporanea le 60 tavole, e che ha inviato a Reggio dei ritratti di alcune celebri protagoniste della Resistenza, tra cui Miriam Mafai e Teresa Mattei.
“La Resistenza rappresenta la fase in cui sono nate e si sono sviluppate le premesse per la nascita della Costituzione e della Repubblica democratica, e non sarebbe stata possibile senza la presenza di centinaia di madri, figlie, amiche, sorelle che ne furono le protagoniste silenziose, chi nel dolore, chi nella lotta, chi nel rimboccarsi le maniche per mandare avanti la famiglia.
Il nucleo della mostra vuole rendere onore e merito alla Resistenza delle donne – spiega la responsabile UDI di Reggio Marsia Modola – partendo dai gruppi non armati di difesa della donna (GDD). Sono due milioni le donne resistenti e 35000 le partigiane: non si possono ignorare queste protagoniste silenziose che hanno partecipato all’azione in almeno tre diverse modalità, identificate dalle storiche come resistenza civile – le staffette a supporto dei rifugiati in clandestinità; resistenza combattente armata e quella privata di cui non si parla mai, che ha a che fare con le difficoltà di sopravvivenza, il far fronte all’emergenza e alle proprie emozioni, così diverse da quelle dell’uomo-soldato. Gli storici cominciano a riscoprire questo mondo femminile sommerso che ha contribuito alla Liberazione, taciuto per tanto tempo anche perchè se per molte parteciparvi era normale e necessario, per altre, come le partigiane che hanno vissuto con gli uomini la clandestinità, implicava il rischio di esporsi al disonore, per cui tacevano per vergogna. Spesso erano gli stessi capi brigata a imporre il silenzio per tutelare la loro onorabilità. Tutto cambia quando durante la Resistenza e la guerra, rimaste sole, le donne finalmente escono di casa, si incontrano tra di loro, hanno la possibilità di parlare e confrontarsi, dando vita ad un fermento che ha posto le basi per le grandi lotte femminili, a partire dallo statuto del 1943 dove si rivendicavano i loro diritti – al lavoro, all’istruzione, alla tutela della maternità, all’autodeterminazione.
Alla mostra hanno partecipato pochissime scuole e tutte dalla provincia, a parte due incontri con le scuole elementari, con bambini molto sensibilizzati e attenti. Le celebrazioni del 25 aprile continuano a non includere il punto di vista della donna in quella fase della nostra storia che pure le ha viste in prima linea a supporto della Resistenza – afferma la Modola – e continua a prevalere la visione maschilista della storia. Nonostante il nostro collegamento con l’Anpi, non è cambiato niente: la terminologia rimane quella così come onorificenze e celebrazioni. Sul palco delle celebrazioni, qui come altrove, non ci saranno le donne, quelle tante che ancora agiscono per avanzare le loro legittime rivendicazioni, non solo in termini di diritti e di evidenza storica, ma purtroppo anche in termini di linguaggio.