IN UNA SCENA del film I complessi (1965), episodio Guglielmo il dentone, Alberto Sordi irrompe per sbaglio in uno studio degli stabilimenti Rai di via Teulada dove un’orchestra sta registrando l’esibizione di una giovane cantante; l’intrusione fa interrompere bruscamente la musica e il direttore apostrofa seccato Albertone: “Ma lei è ‘n pazzo! Se ne vada, non lo vede che stamo a registra’?”. Per nulla imbarazzato, Albertone sorride e se ne va dicendo: “Scusi tanto, maestro Trovajoli, la credevo settentrionale, arrivederci!”. Adesso ad andarsene, dopo Sordi, è toccato proprio a lui, Armando Trovajoli, che si è spento a 95 anni in un giorno imprecisato dello scorso mese di febbraio (la notizia è stata diffusa solo alcuni giorni fa dalla moglie Mariapaola, dopo l’avvenuta cremazione secondo le disposizioni dello stesso Trovajoli). Un musicista eclettico che il sopracitato cameo aiuta a capire, in un batter d’occhio, il carattere: geniale, ma anche altamente professionale e molto schivo, allergico agli applausi come alle adulazioni.
Trovajoli ha lasciato un grande vuoto nel panorama della musica italiana a cui aveva dato un immenso contributo sempre silenzioso, fuori dal gossip e dalla celebrazione. Nato a Roma (altro che settentrionale!) nel 1917, Trovajoli aveva iniziato a studiare musica con i migliori strumenti classici; prima il violino passando poi alla composizione ed al pianoforte fino a diplomarsi al prestigioso Conservatorio di Santa Cecilia nel 1948. Dopo questo apprendistato nella musica “alta”, alla fine degli anni quaranta Armando scopre il suo grande amore appena arrivato dall’America: il jazz. Se ne innamora al punto da mescolarlo con la musica leggera ed anche con la classica, alla maniera di Gershwin, con effetti originali e arrivare a suonare alla Salle Pleyel di Parigi con personaggi come Louis Armstrong, Charlie Parker e Miles Davis. E Piccioni. Con l’altro nome del jazz italiano mette insieme il piano (il suo strumento preferito) con gli archi mentre per la neonata Rai e la Radio si cimenta con la musica leggera ottenendo gli stessi risultati, creando canzonette (come la cantatissima Roma nun fa la stupida stasera) che sono rimaste nella memoria collettiva, per non parlare delle commedie musicali di cui Aggiungi un posto a tavola è l’esempio più generico di un autore che avviluppa genialità con toni bassi e ritmi orecchiabili.
Naturalmente, un talento così non poteva passare inosservato ai produttori cinematografici per creare quell’altrove, la colonna sonora, senza il quale i film hanno poco altro per creare la giusta atmosfera o animare qualche scena madre. Il primo fu Dino De Laurentiis che lo chiamò per la colonna sonora di Anna di Alberto Lattuada, in cui Silvana Mangano canta (doppiata) e balla al ritmo del celebre bajon, che sarà un successo internazionale più volte citato nel corso degli anni (memorabile la celebrazione che ne fa Nanni Moretti in Caro diario). Da lì in poi, è un andirivieni di colonne sonore (e di generi) dal cinema d’autore a quello di cassetta, ma sempre riconoscibili: Un giorno in pretura, La ciociara, Ieri, oggi e domani, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, La mala ordina e quasi tutti i film dell’amico Ettore Scola. La musica in questi film non è un accompagnamento (e non dovrebbe esserlo mai), ma una dimensione parallela alle vicende della trama in cui ci si emoziona al solo ascolto senza aver visto neppure un fotogramma. Una lunga carriera, quella di Trovajoli, terminata solo con la sua morte (negli ultimi giorni stava lavorando ad una composizione) e costellata di riconoscimenti e premi importanti come tre David di Donatello e ben quattro Nastri d’argento a Cannes. Un’epoca è morta con lui, come dichiarato da Gigi Proietti, ma nessuno potrà mai togliere l’audio alle sue opere. Soprattutto nei film!