NON E’ POI COSI’ INCREDIBILE che molti dei nostri imprenditori iniziano ad avere il pallino di allontanarsi dall’Italia per reiniziare a fare impresa. Il nostro paese infatti come tutti sanno, vive giorni difficili resi ancor più aspri dal giogo pesantissimo di una vera e propria oppressione fiscale che viaggia oramai sopra il 42% ed ancora ad oggi, dopo tanto chiacchiericcio, di iniziative serie a favore della crescita, che formulate, stoppate e riformulate in altra salsa cominciano ad essere il pomo della discordia persino tra gli aventi causa, il ministro Passera da una parte ed il viceministro Grilli dall’altra, non s’è sentito nemmeno l’odore. A scudisciare ben bene i governanti ci pensa con uno sfogo amarissimo Andrea Zucchi, sposato, due figli, originario di Fidenza, nel piacentino con due punti vendita di occhiali, che emblematicamente così lancia il suo appello: “cerco un paese al mondo in cui io sia gradito. Azienda, magazzino, macchina… cedo tutto quello che ho allo Stato. Mi bastano solo i vestiti che ho addosso. Voglio un passaporto nuovo, di un Paese qualsiasi, dove l’imprenditore non sia un nemico. Un Paese dove possa crescere i miei figli, perché qui in Italia non è possibile”.
Ed ancora, “non voglio implicarmi con movimenti o peggio con associazioni di categoria mangia soldi. In questo Stato io sono perdente, quindi non mi resta che andarmene. Non nell’aldilà, come hanno fatto alcuni” conclude al plurale, ripercorrendo i numerosi casi di imprenditori suicidi: “io cerco un Paese che abbia bisogno di gente che sa fare e vuole lavorare. Se ci sono altri che la pensano come me, lo dicano, e scegliamo insieme la meta”. E’ solo il portavoce di una malessere evidentemente più esteso e la sua rischia di essere più d’una provocazione, se ad oggi un gruppo Facebook da lui fondato conta più di 500 iscritti che condividono la medesima idea. Allora si prenda atto che l’Italia così rigida com’è, non và. Il premier Monti chiamato in extrema ratio per metter mano alle riforme necessarie, le faccia ed alla svelta. Abbia più coraggio e si attivi per la riduzione delle troppe tasse non solo con la lotta all’evasione, sia chiaro, da incentivare, ma anche punendo severamente la indicibile piaga della corruzione (che ancora attende una legge verità dal Parlamento, e vedremo a breve cosa accadrà) e contestualmente agisca per la riduzione immediata dei costi della pubblica amministrazione attraverso l’attuazione imminente del piano Giarda per la spending review da 100 miliardi di euro. E poi dia finalmente quel segnale sulla crescita tante volte promesso e finora rimasto inattuato. Liberi gli investimenti pubblici, permetta la compensazione debiti/crediti delle imprese, riduca la tempistica biblica dei pagamenti della pubblica amministrazione e tagli i rami secchi dello Stato per ricavarne liquidità corrente da iniettare alle famiglie con cui stimolare i consumi. Permetta alla imprenditoria privata, attraverso sgravi ed incentivi, di potersi sviluppare radicandosi sul territorio per creare quei nuovi posti di lavoro con cui combattere la disoccupazione, soprattutto giovanile. Qui rischiamo di andare oltre la recessione, in regressione.
Ed al di là di perdere posizioni nei vari ranking mondiali di produttività, occupazione, PIL e chissà di quanti altri indicatori economico-sociali, si prenda responsabilmente atto che di tempo per indugi e traccheggi non né è rimasto più. Agire è l’imperativo. Scontentare lobby e poteri forti che incatenano il Paese, ne sarà l’effetto. Ma dalla rilevanza di questi malcontenti si misurerà l’efficacia degli effetti. Poiché il capro espiatorio potenziale non è solo la fuga di capitali ed intelligenze. In antinomia potrebbe prefigurarsi anche che ci tocchi in sorte d’essere disdegnati persino come terra di conquista.