TAURIANOVA – Parlare di “Antimafia” è ai giorni nostri un’attività di elite, a volte ardua ed a volte goliardica, occorre avere uno specifico “patentino” che ti possa legittimare a farlo. Come ci ricordava circa 25 anni fa Leonardo Sciascia che appunto il 10 gennaio del 1987 con il suo memorabile pezzo sul Corsera dal titolo provocatorio “I professionisti dell’antimafia”, dove asseriva che “per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso”, criticando il anche il termine di “magistrato gentiluomo” in c’è da “restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?”. Applicando queste tesi di Sciascia sui magistrati in Sicilia, a chi oggi aspira a fare antimafia per mestiere, e lo fa attraverso dei processi mediatici ben definiti come degli steccati indissolubili. E mi riferisco ai movimenti nati per contrastare (?) le mafie ricevendo in cambio notorietà, soldi ed un posto al sole. Movimenti che non hanno mai prodotto nulla o quasi; che amano la piazza, il dibattito e le “arene” televisive solo per dire qualche piccola “scintilla” che nel contesto molte volte non c’azzecca nemmeno di striscio. Sulla mafia io la penso come il povero Peppino Impastato che “è una montagna di merda” e che chi usa la violenza per ottenere “rispetto”, “onore” è un vigliacco. In questi giorni ho avuto modo di leggere alcune notizie di stampa riguardanti un soggetto, definito da tanti come un “paladino (?)” dell’antimafia, tale Aldo Pecora, fondatore del movimento “Ammazzateci tutti” nato sull’onda di una pagina triste per la Calabria, per l’uccisione dell’allora vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. E tra le tante cose che mi hanno colpito, oltre ai tantissimi commenti scritte su Facebook (farò un discorso a parte), “belle paroline”, così come li amava definire il grande Totò, due o tre in particolare ossia la residenza della famiglia in un palazzo sequestrato dalla magistratura perché appartenente ad una cosca mafiosa della Piana (fonte Corriere della Calabria); l’altra che lo stesso è stato minacciato nei giorni scorsi con un bigliettino, un umile bigliettino trovato sul parabrezza della sua auto con su scritto «Scopelliti ti aspetta a braccia aperte, farai la fine di Gratteri e Creazzo, boom», sappiamo chi è stato il giudice Scopelliti, sappiamo chi è il procuratore Creazzo così come il giudice Gratteri, ma Aldo Pecora chi è? Che c’azzecca con tutto questo? Sarà stato sicuramente un errore di….parabrezza, al massimo sarà come lo stesso Pecora ha dichiarato «uno scherzo di carnevale». Ma ho letto inoltre (fonte Corriere.it), che lo stesso Pecora non sapeva «che il palazzo era di proprietà di presunti mafiosi. Si tratta di volgari accuse, la macchina del fango si sta rivolgendo anche contro di me». La macchina del fango. Sembra oramai un’icona su cui poggiare le proprie basi contro chi fa un servizio giornalistico secondo i criteri dell’art. 21 della Costituzione Italiana, oramai come al solito e come usanza del caso, ci si appella ad essa che più che una macchina sembra prezzemolo in ogni minestra. Oltre al fatto che, chi viene in qualche modo menzionato in un articolo di stampa, si senta attaccato tanto da minacciare la solita manfrina della querela, triste abitudine da pecorai che non sanno rispondere alle accuse o non sanno cosa significa un diritto di replica, ma poi è solo un mezzo per un recupero della visibilità perduta. E nulla più, il resto è un “vuoto a perdere”. Ed infine, c’è il giallo dei finti giornalisti, finte “Iene” e non so cos’altro dire, i quali sono stati prontamente bloccati dai Carabinieri perché erano degli “energumeni (citazione padre di Aldo Pecora su facebook)”. Ma ma alla fine chi erano questi soggetti? Si è saputo? Attendiamo notizie in merito. Due riflessioni: la prima. Mi è piaciuto moltissimo un pezzo che ho letto sul giornale La Riviera a firma di Ruggero Brizzi, in una lettera aperta ad Aldo Pecora, quando scrive «Non sbagliavo, avevo 18 anni. Predicavo tutti i nostri coetanei di non lasciare questo posto. Le loro menti ci sarebbero servite oltre palazzo Nieddu, sul marciapiede antistante, nel bar di fronte, per occupare spazi che altrimenti non ci sarebbero, giustamente, più appartenuti», ed ancora «Tu dicevi di andare a studiare per voler fare il magistrato e tornare qui per dare il tuo contributo». Il magistrato…voleva fare il magistrato. Ed infine, quello che più ho letto con particolare attenzione e che sono andato personalmente ad accertare sul sito di “Ammazzateci tutti” che ha riportato con molta dovizia e bravura lo stesso Brizzi che riporto integralmente «La tua associazione cosa fa per chiedere soldi? Come li investe? Dove sono i bilanci? Ho visitato il sito di ammazzatecitutti. Era tempo che non ci capitavo. Fermo ad agosto 2011, si presenta con la scritta “3 modi per impegnarti concretamente”: PARTECIPA, ADERISCI, SOSTIENI. Il primo, che dovrebbe essere il più importante, porta ad un forum che non si vede, su pagine sconnesse tra di loro. Il secondo link porta a un modello da compilare per iscriversi “all’antimafia più grande d’Italia”. Il terzo è chiarissimo e puntiglioso e porta alle varie ipotesi di socio di questa cosa, poco definita dietro un nome da impatto impressionante per nordici superficialmente impegnati: diverrai “Simpatizzante” di Ammazzateci tutti con un contributo di almeno Euro 50,00. Diverrai “Piccolo Sostenitore” di Ammazzateci tutti con un contributo di almeno Euro 100,00. Diverrai “Grande sostenitore” di Ammazzateci tutti con un contributo di almeno Euro 500,00. Diverrai “Sostenitore benemerito” di Ammazzateci tutti con un contributo di almeno Euro 5.000,00; e ancora 5×1000, donazioni… Ma per cosa non lo dici. Sei stato abile a comunicare e scioccare con uno striscione. Fa lo stesso, ora, con i progetti. Se esistono». No comment. Ho notato anche che tra le news del sito c’è una differenza di date abissale dal punto di vista delle attività del movimento, da ciò si evincono forse tanti sospetti e qualche conclusione, l’ultima news è datata 9 febbraio di quest’anno che riguardava il trasferimento del procuratore Pignatone e del capo della squadra mobile cortese; quella precedente è del 14 maggio 2011: per un movimento antimafia, nove mesi di silenzio (sic!). Seconda riflessione. Ho letto casualmente un dibattito su Facebook nato appena saputo la questione della casa sequestrata di residenza della famiglia Pecora (che spero appena appresa la notizia, visto che lo stesso Aldo Pecora ha dichiarato che non lo sapeva, ma adesso che lo sa avranno già provveduto a sgomberare l’immobile a favore di un’altra residenza), ecco, ad un certo punto in un dibattito sano, libero e democratico per nulla malizioso alcune persone dicevano la propria opinione, ad un certo punto menzionato nel dibattito entra il signor Giovanni Pecora attaccando, a mio avviso in modo molto esagerato usando termini come “questa gentaglia”, “quei vermi schifosi”, “questi sciancati che parlano solo per l’invidia di non rappresentare NULLA sulla terra, se non il loro odio e la loro meschinità”, “Sono come i guappetielli di Casal di Principe, che parlano male di Roberto Saviano”. Questo è triste, molto triste specie per chi fa della propria vita o cerca di fare qualcosa contro le mafie, perché la violenza non è solo nei gesti, nelle azioni, no, la violenza è anche verbale ed a volte fa molto male.
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“Ammazzateci tutti”? Pecore e Iene. “Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”29/02/2012 | Giuseppe Larosa | Approdonews.it