APPROVANDO IN TOTO quanto sostiene l’amico Angelo Siciliano nel suo bellissimo articolo “Ridare vita alle piazze del sapere. Quando la politica non guarda oltre” , voglio aggiungere, anche come auspicio ed augurio, visto che l’anno nuovo sta per iniziare, qualcosa a riguardo di questo importantissimo tema, a torto, non ritenuto prioritario nelle politiche nazionali e locali.
Le biblioteche intese come centri di diffusione di sapere e cultura, come centri di aggregazione e di incontro, come spazio aperto alla partecipazione di diverse componenti culturali e sociali, dovrebbero essere poste al centro degli interessi di tutti, trattandosi di un bene comune. Dunque, proprio in virtù del concetto di bene comune, il tema della giusta valorizzazione delle biblioteche dovrebbe diventare pane quotidiano per i nostri politici. Soprattutto se fosse forte, in loro, la convinzione che tutto, o quasi, parte da lì, dalla sensibilizzazione culturale. I problemi più scottanti potrebbero trovare soluzione. E non è esagerato dire che investire in cultura aiuta a risolvere i tanti e tanti problemi che ci affliggono.
In generale, in Italia, le biblioteche non sfruttano appieno le loro potenzialità, rimanendo ancorate più alla visione “antica” di conservazione del sapere anziché di fruizione. E così, capita spesso di entrare in una biblioteca in cui si custodiscono libri, magari di particolare valore e pregio, così gelosamente, da renderne difficile la fruizione o, comunque, non riuscendo a coinvolgere il pubblico nella loro lettura. Oppure, di trovarsi di fronte a strutture mal gestite e inefficienti, oppure ancora, ed è l’esempio peggiore, di entrare in luoghi “sepolcrali” in cui magari il bibliotecario, novello Mattia Pascal, trascorre il suo tempo a spolverare i libri negli scaffali.
Allora l’idea, realizzabile se si vuole e se se ne comprende l’enorme utilità, è quella di restituire questi spazi al territorio e a chi lo vive, e di reinventarli come luoghi di incontro e di arricchimento culturale e multiculturale, considerato anche il nuovo assetto sociale che si profila, anzi che è già una realtà, e cioè la dimensione interculturale delle nostre comunità che, se ben canalizzata, potrebbe rappresentare un punto di forza anziché di conflitto.
Nella pratica attuativa, tutte le iniziative culturali, nel senso più ampio possibile del termine, potrebbero convogliarsi in un unico centro, evitando in questo modo un effetto dispersivo. Un luogo neutro, sempre aperto, e aperto a tutti, quale la biblioteca, potrebbe infatti meglio avvicinare persone diverse per estrazione culturale e sociale, anche per provenienza geografica. La voglia di stare insieme e di condividere diversi saperi ed esperienze sarebbe così assicurata.
E’ qualcosa che si può fare, e bene anche. Bastano queste condizioni che, in altri contesti politici, sarebbero semplici, ma che nella situazione attuale appaiono abbastanza complesse: la disponibilità e la lungimiranza politica; l’apporto delle risorse presenti, perlopiù, in ogni comunità, si pensi all’associazionismo, al volontariato; la vivacità e la varietà delle iniziative.
1 commento
ang sic
30 dicembre 2012 a 20:03 (UTC 2) Link a questo commento
(grazie!) condivido tutto, Rosanna