LA VITA DI GIULIANO GEMMA è terminata a 75 anni, non come in un film; niente duelli al sole, niente sparatorie, neppure lunghe cavalcate all’orizzonte. La vita è più drastica rispetto alla magica dimensione del cinema. Il celebre attore di tanti “spaghetti western” ci ha lasciati martedì sera a causa di un incidente stradale nei pressi di Cerveteri, vicino Roma, dal quale ne è uscito ferito grevemente per poi morire di arresto cardiaco all’ospedale di Civitavecchia, dove era stato trasportato d’urgenza. Non è questa la sede per discutere dei presunti ritardi dei soccorsi, come ha raccontato un amico dell’attore, e neppure dell’ultima telefonata fatta alla moglie fatta dall’ospedale. Quello che voglio esprimere qui è il semplice ricordo di uno dei divi dell’immaginario collettivo italiano da parte di un cinefilo.
Grazie ad un padre fanatico di western italiani, durante l’adolescenza e molto prima che venissero rivalutati da Tarantino (e dalla critica), si può dire che ho sempre respirato aria di pistole e saloon grazie alla televisione (essendo della classe 1981, non ho potuto gustare questi film al cinema, visto che negli anni ottanta il genere era decaduto). Sinceramente, ho sempre preferito i film di Sergio Leone alla svariata gamma di generi, e commistione di generi, che sono stati i film western italiani dalla metà degli anni sessanta fino alla fine dei settanta; primo, perché reputavo i personaggi di Leone molto più realistici ed epici dei vari Django, Sartana, Ringo, Sabata o Indio Black, secondo, perché gli altri spaghetti western mi sembravano tutti delle mere fotocopie delle pellicole leoniane. Non che non mi piacessero, anzi, ho perso il conto di quante volte avrò visto Lo chiamavano Trinità e tutti gli altri western fracassoni della premiata ditta Bud Spencer & Terence Hill, ed anche negli altri film west del Belpaese ho sempre cercato quell’ ironia utilissima ad equilibrare tutta la trama. Questo avveniva anche nei film del compianto Gemma, che personalmente trovavo troppo “fighetto” per i film western, sempre pronto a sparare con il sorriso sornione da eterno ragazzino e con pistole che si materializzavano magicamente nelle sue mani (come in Per pochi dollari ancora, 1966, di Giorgio Ferroni: quando sembra che sia tutto perduto per lui, dopo un lentissimo segno della croce, estrae dalla tasca una minuscola pistola che uccide il nemico); in definitiva, lo preferivo da bambino proprio perché nel recitare egli possedeva quella non chalance e quel divertimento tipico dei ragazzini che giocano a cow boy e pellerossa. Quello stesso entusiasmo che lo portò, nel 1985, ad impersonare sullo schermo l’immortale eroe dei fumetti italici Tex Willer (in Tex e il signore degli abissi di Duccio Tessari), vera personificazione dei sogni e dei giochi di tanti bambini dal dopoguerra fino agli anni ottanta.
Col tempo, Gemma si era sentito recluso all’interno dei set western ed aveva deciso di intraprendere una carriera da attore di tutto punto, riuscendoci in maniera discontinua: geniale, ad esempio, l’interpretazione autoironica del capitano Germani, poliziotto con movenze da pistolero, destinato a fare una brutta fine in Tenebre, 1982, di Dario Argento. Ma non dimentichiamo le sue partecipazioni anche a capolavori del cinema internazionale, come Ben – Hur, 1959, di William Wyler e, soprattutto, Il Gattopardo, 1963, di Luchino Visconti. Attore poliedrico, dunque, che non si tirava indietro di fronte a ruoli impegnativi e coraggiosi, come i suoi film di denuncia sotto la regia di Damiano Damiani oppure Il deserto dei Tartari, 1976, di Valerio Zurlini. Che la terra ti sia leggera, Giuliano.