UN VULCANO. Mi piace iniziare con questa parola, parlando di Dante Maffìa. Perché è l’immagine che primeggia su tutte le altre, numerose, che potrebbero “disegnarlo” efficacemente. Un vulcano di idee e sensibilità geniali, di fiumi e fiumi lavici di letture e scritture inarrestabili, perché irresistibili e impossibili da frenare. Ed ecco, a distanza di pochissimo tempo dalla pubblicazione dell’opera monumentale Io, poema totale della dissolvenza, un’altra corposa raccolta di liriche, Il poeta e la farfalla. Una poesia “vulcanica”, non credo sia né irriverente, né esagerato definirla così, proprio perché dei vulcani, la poesia di Maffìa ha l’energia latente ed esplosiva che, in questo caso, è propria del sentimento più universalmente sublime e cantato in poesia: l’amore. Uno splendido canzoniere, non esita a definirle “le più belle poesie d’amore di tutti i tempi” in quarto di copertina, Ciril Zlobec, perché di questo si tratta. Belle, perché palpitanti e vere, capaci di dare voce agli spasimi d’amore, che non sono soltanto dell’autore, ma dell’umanità tutta, e di ogni tempo, sublimandoli in momenti solenni e universali. Che è poi la grandezza del vero poeta che, solo, può tradurre in parola magica, il mistero, l’oscuro, il non detto perché non si sa dirlo, che si celano dentro di me, di te, di tutti noi. Un amore travolgente ed avvolgente con tutte le sue componenti: passione, carnalità, paure, gelosia, esaltazione, vibrazione, tumulti, estasi, sacralità, precarietà che però diventa eternità. Un amore senile di un uomo che accoglie, con innocente e sorprendente naturalezza, l’esperienza dell’innamoramento, traboccante di piacere e di meraviglia, che diventa lievito (per usare una parola cara all’autore) della corporeità e della spiritualità, abituate…
“al silenzio delle ossa,
del cranio e delle mani…”
ma poi è arrivata lei
“semplice come un germoglio
di grano, odorosa di vita,
col passo lieve delle nubi,
con i fianchi
che invitano all’assalto…” (Come un germoglio di grano)
E l’innamoramento diventa onnicomprensivo, totalità di elementi materiali e spirituali, tanto che la donna per il poeta è:
Mia guerra, mia pace, …
mio concerto, mia pausa…
mio pane, mio vino,…
mia insalata di datteri,…
mia Beatrice, mia Laura,
mia Silvia e Fiammetta…
mia colazione, mia cena,
mia cantilena, mio destino…(Futuro che mi appartiene)
Un amore verso una donna molto giovane, non ancora nata all’epoca di uno dei tanti lontani amori del poeta, e che è Beatrice, Laura, Silvia e Fiammetta tutte assieme. Un amore che ridà vigore al canto del poeta, che inneggia alla donna angelo capace di sublimare il desiderio in un’atmosfera quasi rarefatta, soffusa, estatica; ma anche alla donna nella sua terrestrità, palpitante di desiderio e passione… Quanto di divino e di terreno negli abbracci…
Una donna, incontrata in quell’ottobre dolce calabrese, che è troppo bella. La sua bellezza è come un carro armato che gli attraversa il cuore ed è donna in tutta la sua straripante fisicità: bocca, seni, cosce, fianchi, flessuosi, tremanti, caldi. E’ lui, il poeta, ad averla creata così bella perché gli ha rubato
gli occhi, il cuore e l’ombelico
per scrivere
l’endecasillabo immortale. (Risposta immediata)
Ed è lui, il poeta, rigenerato e rinato da questo amore, che non teme il tempo che passa inesorabilmente, perché il tempo del presente è così vivo e intenso da poterlo fermare, eternandolo anche in quel solo attimo di incanto e di estasi amorosa che vive con la sua donna, che è come una farfalla che si libra alta nel cielo, e che, a sera, volteggia intorno alla lampada finché non muore, paga della sua vita fugace, ma gloriosa.
L’amore del poeta per la donna rigenera anche la poesia, ha ridato vigore al canto, perché i fiumi a volte cambiano letto, / il vento direzione. E adesso può riaprire la partita…
e fiorisce la dimensione del suono
in sillabe concrete
che hanno il tuo corpo
a guardia della vita. (Comunione)
Il tutto con una lingua che gronda sangue, il sangue purificatore della parola, troppe volte violata, abusata, anche da chi pensa di fare poesia…, ma anche il sangue della passione. Qui ci troviamo ad avere a che fare con un grande poeta, che parla di un mondo di sentimenti e pulsioni amorose, con un linguaggio chiaro, semplice, direi disarmante, che non scade mai nella semplicistica ovvietà, ma che sprigiona profondità ed eccellenza di umori, sapori, emozioni. E le parole, così come l’amore, che è lievito della corporeità e della spiritualità, assumono un valore di corpo e di spirito, di terra e di cielo, di fisico e di metafisico.
Il poeta e la farfalla: scommessa molto ardita? No, perché Dante Maffìa, non nuovo, tra l’altro, al tema dell’amore, avendo già scritto Canzoni d’amore, di passione e di gelosia (2002) e Ultimi versi d’amore (2004), affronta lo stesso topos letterario, senza mai correre il rischio della ripetitività, dei dejà vu letterari, degli stereotipi e dei luoghi comuni. E lo fa senza sforzo, senza alcuna pianificazione, ma con estrema naturalezza, quella naturalezza che gli deriva dalla conoscenza delle cose, suffragata, compenetrata ed estetizzata dal filtro della sua cultura, vastissima e appassionata, viva, ed in continuo divenire. Non è, Maffia, artista sprovveduto, conosce bene il valore dell’originalità e dell’irripetibilità in poesia, così come in tutte le arti, pena, il decadimento della poesia stessa a sterile virtuosismo, se non addirittura ad un’accozzaglia di parole. No, non è una scommessa ardita, perché il poeta sa cantare l’amore con genuinità e senza infingimenti, rispondendo solo al suo cuore, allo stravolgimento dei sensi e della mente.
La Musa della poesia gli è sempre accanto, non gli dà tregua, credo proprio che si sia perdutamente innamorata di questo cantore straordinario dell’amore.