LE DIMISSIONI DI BOSSI rappresentano esattamente il quadro politico post Mani Pulite. Con l’ennesima riprova che, in verità, questo tempo opaco ed evanescente di Prima – Seconda Repubblica non si sia mai davvero concluso. Ed il cordone ombelicale con le vecchie insane abitudini di finanziamento (più o meno esecrabile) ai partiti con le conseguenti inevitabili spartizioni ex post, evidentemente, mai reciso. Ecco che accade l’impensabile. Il partito famiglia guidato dal capo carismatico, schierato a difesa dei lavoratori e degli interessi delle classi sociali del nord implode su se stesso, in una girandola vorticosa di intrecci oscuri, manovre di partito e subodori di ndrangheta. E come al solito, di operazioni fatte a propria insaputa. Difficile, questa volta, neppure pensarlo se a capitolare è il capo tirato per la giacchetta dal fortunato figliol prodigo ma non prodigio. Almeno a Bossi va riconosciuto il buon gusto postumo. Questa volta il cerchio magico non s’è rivelato tale.
Perché in questa amara storia italiana ancora tutta da scoprire di magico pare che ci sia ben poco, ma di falso materiale ed illeciti ben tanto. Evidentemente dalla prima vera vittoria politica a risonanza nazionale datata 1992 ad oggi si è chiuso un ciclo. O magari tre Procure Milano in testa, a seguire Napoli e Reggio Calabria ciscuna per proprio conto e per strade diverse, hanno provveduto abbastanza involontariamente ad aprirne un altro. Uno squarcio abbagliante che accende i riflettori sul tema del finanziamento pubblico ai partiti, che abrogato per referendum dell’aprile 1993, promosso dai Radicali col 90,3% dei voti espressi a favore, nel clima generale di sfiducia che succede proprio allo scandalo di Tangentopoli pare uscito dalla finestra per poi rientrare dal portone sempre nel 1993 prima con l’aggiornamento della già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994 e poi addirittura con l’istituzione dell’adesione alla contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai partiti, pur rimasta minima. Fatto sta che i partiti riescono a maneggiare un tesoretto straordinario di danaro pubblico e non sempre lo fanno con bilanci in regola od in maniera trasparente (ed a nulla valgono le certificazioni di questa o quella società di revisione. A tal pro si veda il caso Grecia, ndr).
Dunque ecco abbondantemente giustificato lo stupore dei pretoriani del sole delle Alpi prima nonché dei militanti a seguire che hanno appreso la verità in un continuo stillicidio di notizie, indiscrezioni disarmanti e boatos provenienti da Via Bellerio. Quella stessa verità che ha lasciati attoniti ed increduli i cittadini elettori di un partito politico che ha lambìto nel momento di massimo splendore il 10% di preferenze su scala nazionale ed i cui iscritti e simpatizzanti si sono dimostrati sempre pronti, dal prato di Pontida, a puntare fieramente il dito contro una certa Roma ladrona quale pessimo modello di sprechi, sperperi ed inutile dissipazione di risorse pubbliche, a loro dire molto male impiegate. Salvo poi per nemesi, svegliarsi una mattina ed appurare tragicamente che i loro più alti rappresentanti si erano già infetti, ed abbastanza rapidamente, dello stesso male che erano andati a debellare nella città eterna.