CALABRIA – E’ apparsa su alcuni organi di stampa la notizia secondo la quale l’ufficio per gli Affari Regionali, organo interno al relativo ministero, ha definitivamente chiarito la situazione di confusione normativa creatasi all’indomani delle dimissioni del presidente della giunta regionale calabrese Giuseppe Scopelliti. Di seguito riportiamo il testo integrale del resoconto stenografico della seduta del Senato n. 247 del 15/5/2014 che riporta la mozione n. 1-00255 che ricostruisce la vicenda.
Secondo gli stessi organi si stampa l’ultimo consiglio regionale si dovrebbe svolgere il 3 giugno, quindi si andrebbe alle urne nell’autunno prossimo secondo le nuove norme sul risparmio e con il taglio del numero dei consiglieri.
Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 247 del 15/05/2014:
premesso che:
il 27 marzo 2014 il Tribunale penale di Reggio Calabria ha condannato Giuseppe Scopelliti, presidente della Giunta regionale della Calabria, a 6 anni di reclusione per i reati di falso e abuso d’ufficio;
ai sensi degli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012 (cosiddetta legge Severino) la condanna predetta determina la sospensione dell’amministratore dalla carica regionale ricoperta;
l’art 8, comma 4, della “legge Severino” dispone a tal fine che “a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 sono comunicati al prefetto del capoluogo della Regione che ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri il quale, sentiti il Ministero per gli affari regionali e il Ministro dell’interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione. Tale provvedimento è notificato, a cura del prefetto del capoluogo della Regione, al competente consiglio regionale per l’adozione adempimenti di legge”;
l’art. 8, comma 1, richiamando l’articolo 7 del medesimo decreto legislativo, prevede una serie di ipotesi di reati, tra cui quello per il quale è stato condannato il presidente della Giunta regionale della Calabria, che determinano la “sospensione di diritto” dell’amministratore condannato. Essa costituisce atto dovuto e vincolato e, pertanto, necessario ed ineludibile;
a seguito della condanna è quindi intervenuto il decreto con cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha sospeso, ai sensi del decreto legislativo n. 235 del 2012, Giuseppe Scopelliti dalle funzioni di presidente della Giunta regionale della Calabria;
successivamente a tale decreto, il 29 aprile 2014, il presidente della Giunta ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica, trasmesse, il 30 aprile 2014, al Presidente del Consiglio regionale;
considerato che:
la sospensione, costituendo un provvedimento automatico ma temporaneo, non determina un distacco totale e definitivo tra l’amministratore e la pubblica amministrazione, alla luce dell’intrinseco carattere di provvisorietà della misura, la quale viene a cessare una volta trascorsi 18 mesi dalla condanna di primo grado. Essa lascia intatta la titolarità del rapporto tra amministratore e pubblica amministrazione (incidendo per un periodo transitorio sul suo esercizio poiché costituisce un impedimento che preclude lo svolgimento delle attribuzioni connesse alla carica) mentre la decadenza tronca definitivamente il rapporto tra amministratore e pubblica amministrazione;
il provvedimento cautelare, tramite il quale, a seguito di una condanna riportata dall’amministratore che ne faccia venir meno i requisiti soggettivi della dignità e dell’onorabilità, l’amministrazione tutela se stessa “congelando” la posizione del soggetto condannato, si trasforma in decadenza nel caso in cui la sentenza diventi definitiva, come disposto dall’ultimo comma dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012;
a giudizio dei proponenti del presente atto ed alla luce della peculiare natura della sospensione, le dimissioni rese dal presidente Scopelliti vanno comunque considerate pienamente efficaci. In tal caso trovano applicazione gli articoli n. 126 della Costituzione e n. 33 dello statuto regionale della Calabria, i quali espressamente prevedono gli effetti derivanti dalle dimissioni del presidente sul Consiglio regionale;
l’articolo 126, terzo comma, della Costituzione prevede che l’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportino le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio;
l’art. 60 del regolamento del Consiglio regionale, dispone che “Nel caso di dimissioni del Presidente della Giunta, il Presidente convoca il Consiglio entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione formale sulla quale ciascun Consigliere può prendere la parola per non più di cinque minuti. Terminata la discussione, il Presidente congeda definitivamente i Consiglieri”;
le elezioni, per conseguente rinnovo del Consiglio regionale, in Calabria, devono pertanto essere indette dal prefetto del capoluogo di regione. Risulta invece che il Presidente del Consiglio regionale abbia acquisito alcuni pareri giuridici, sulla base dei quali le dimissioni del governatore sarebbero state inibite dalla sospensione dell’incarico operata dalla “legge Severino”, efficace fin dal momento della sentenza;
a seguito di una conferenza stampa avvenuta il 9 maggio 2014, si è appreso che il presidente del Consiglio regionale ha convocato solo per il 3 giugno 2014 il Consiglio regionale indicando, al quarto punto dell’ordine del giorno, la questione delle “Dimissioni del presidente della Giunta Regionale”. Si configura, in tal caso, una violazione dell’art. 60 del regolamento consiliare e, in particolare, del termine temporale ivi indicato. La convocazione è infatti tardiva e indetta oltre il termine individuato dall’articolo medesimo, che impone al presidente di “convocare il Consiglio entro dieci giorni” e non fa riferimento alla mera disposizione di convocazione;
atteso che:
a parere dei proponenti, quanto sopra costituisce una condotta manifestamente illegittima. La sospensione, infatti, impedisce all’amministratore condannato di svolgere le funzioni e i poteri strettamente connessi con la carica, ma non impedisce, né può impedire, all’amministratore condannato di rassegnare le dimissioni, che sono atto unilaterale recettizio. Esse non costituiscono un atto connesso con i poteri e le funzioni della carica amministrativa ma sono riconducibili alla libertà, costituzionalmente riconosciuta dall’articolo 126, che ne precisa anche le conseguenze, della persona in quanto amministratore, di recedere dal rapporto politico-istituzionale instaurato con l’amministrazione, qualunque sia la ragione;
se lo statuto regionale e il regolamento del Consiglio regionale, in attuazione del dettato costituzionale e legislativo, dispongono e prevedono che le dimissioni del presidente della Giunta regionale determinano lo scioglimento del Consiglio regionale, ne deriva che, a parere dei proponenti, il presidente del Consiglio regionale, non procedendo in tal senso, avrebbe omesso e starebbe tuttora omettendo (contra legem) di adempiere con tempestività, e secondo i termini prescritti, un obbligo direttamente connesso con le proprie funzioni, mantenendo in vita, in modo innaturale, la legislatura regionale;
né varrebbe sostenere che il presidente del Consiglio regionale, a seguito delle dimissioni del presidente della Giunta, sarebbe impossibilitato a “congedare” i consiglieri solo perché è intervenuto il decreto di sospensione di Scopelliti con decorrenza dal 27 marzo 2014, potendosi intravedere in tale assunto un tentativo di mantenere in vita il Consiglio;
il citato articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012, nell’indicare puntualmente le fasi procedurali del provvedimento che accerta la sospensione e della relativa notificazione, espressamente prevede che, per tutta la durata della sospensione, al consigliere regionale spetta un assegno pari all’indennità di carica, ridotta di una percentuale fissata con legge regionale. La negazione di efficacia delle dimissioni per intervenuta sospensione consentirebbe, per conseguenza, ai consiglieri regionali di continuare a gravare sui costi di funzionamento della Regione;
pur di continuare a mantenere in vita il Consiglio regionale, viene dunque ad essere fattualmente equiparata, in modo illogico, la sospensione alla decadenza, al solo fine di escludere l’operatività delle dimissioni, le quali invece producono effetti dal momento in cui il soggetto destinatario ne ha conoscenza, determinando, ai sensi dell’articolo 126 della Costituzione, lo scioglimento del Consiglio;
nel caso specifico, il presidente del Consiglio regionale impedirebbe al presidente della Giunta di dimettersi, ritardando nel tempo la presa d’atto da parte del Consiglio regionale, e di interrompere, nell’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà, il rapporto con la Regione Calabria, “costringendolo” a mantenere il ruolo di presidente (seppur sospeso) della Giunta regionale. Non può che derivarne una lesione del buon andamento dell’amministrazione regionale oltre che un’elusione delle norme di legge. Occorre inoltre considerare che, in virtù di un principio generale dell’ordinamento costituzionale, nessuno può essere obbligato ad accettare un incarico né, soprattutto, a rimanervi contro la propria volontà;
va peraltro rilevato che il dimissionario presidente della Giunta risulta essere candidato al Parlamento europeo e la carica di parlamentare europeo è, ai sensi della legge n. 18 del 1979, incompatibile con quella di presidente della Giunta regionale. Infatti la legge espressamente prevede, all’articolo 6, che l’eletto al Parlamento europeo, entro 30 giorni dalla proclamazione, debba scegliere la carica che intende mantenere, con la conseguenza che l’eletto che non abbia eliminato la causa di incompatibilità viene dichiarato decaduto. Ove fosse applicato l’assunto dell’inefficacia delle dimissioni a seguito di sospensione, il presidente della Regione verrebbe costretto ad una situazione di incompatibilità. Egli, non potendosi comunque, secondo tale tesi di parte, dimettere da presidente della Giunta regionale, una volta ipoteticamente eletto al Parlamento europeo dovrebbe inoltre essere inesorabilmente dichiarato decaduto, exart. 6 della legge n. 18 del 1979;
nella condotta del presidente del Consiglio regionale, che ha convocato tardivamente e al di là del termine di 10 giorni, il Consiglio regionale ai sensi dell’art. 60 del regolamento, non può non ravvisarsi l’inadempienza di un obbligo (costituito dalla convocazione del Consiglio per congedare i consiglieri regionali) nonché un ingiustificato vantaggio ai consiglieri regionali che continuerebbero a percepire un’indennità non dovuta. Viene inoltre recato, sempre ad avviso dei proponenti, un ingiusto danno alla comunità dei calabresi, alla quale è negato di andare ad elezioni per scegliere un nuovo presidente e i nuovi componenti del Consiglio regionale. E ciò a prescindere da ogni altra valutazione circa eventuali responsabilità penali che possono essere vagliate soltanto nella sede propria, dal momento che l’articolo 323 del codice penale (rubricato abuso d’ufficio) dispone che “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. L’articolo 328 del codice penale, nel disciplinare il caso di omissione, dispone che “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”;
va precisato che nel caso in questione le dimissioni del presidente della Giunta regionale dovrebbero comunque dar luogo allo scioglimento del Consiglio regionale ed escludere ogni possibilità di esercizio delle funzioni di presidente in regime di prorogatio. Infatti, il decreto governativo di sospensione dalla carica di presidente assolve, per unanime dottrina e giurisprudenza nonché per palese formulazione, ad una funzione di mero accertamento, non essendo atto costitutivo dell’effetto sospensivo. Essendo la proroga un istituto che serve ad assicurare la continuità dell’esercizio delle pubbliche funzioni in casi del tutto diversi, è evidente che esso non potrebbe comunque essere applicato ad un organo privato di diritto e per sentenza di qualsiasi potere di continuare ad esercitare, sia pure limitatamente, le proprie funzioni;
pur spettando la regolamentazione della prorogatio alle disposizioni dello statuto regionale, va inoltre fatto salvo il caso di scioglimento ex art.126, comma primo della Costituzione, che viene qui a concretizzarsi, e che dispone al primo comma che con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, le quali vengono puntualmente a riscontrarsi nel caso di specie,
impegna il Governo:
1) ad assumere urgentemente ogni necessaria iniziativa a tutela della legalità e del rispetto dei regolamenti e della legge, anche alla luce dei ritardi occorsi nella sua applicazione, già evidenziati nell’atto di sindacato ispettivo 4-02183 dell’8 maggio 2014;
2) a valutare con attenzione i gravi profili di violazione di legge e del regolamento nonché di contrasto con i principi generali dell’ordinamento che si profilano;
3) a dare, conseguentemente, impulso, per quanto di propria competenza, alla procedura di cui all’art. 126, comma primo della Costituzione, volta allo scioglimento immediato del Consiglio regionale della Regione Calabria.
(1-00255)