MI RIVOLGO AI RAGAZZI: a quelli di Riferimenti, che dimostrano grande sensibilità sociale, e a tutti gli altri, che hanno ancora un urlo strozzato in gola. Quella che voglio raccontarvi è la storia di un terra che mi ha sempre dato l’impressione di essere senza voce. La Calabria è silenziosa, anche quando dovrebbe urlare: è la silente storia della nostra storia.Èlastoria cheraccontalavita di persone, perbene, che amano questa terra in modo viscerale: ma che tante, troppe volte, hanno immaginato il giorno in cui andranno via per un motivo qualsiasi. Quanto mi è costato lasciarla, quella terra,quando l’ho lasciata. Quantomi sono sentito profondamente legato a quel territorio, che da lontano sentivo più mio, più vicino: certamente ancora più bello. Quante volte non ho avuto il coraggio dimanifestarlo apertamente quell’amore, quante volte non sono stato capace di superare, di contrastare gli stereotipi di cui qualcun altro, altrove, aveva bisogno. Quante volte ho pensato che quella terra aveva bisogno di me, e che in fondo non l’avrei mai lasciata del tutto: tante volteho credutoche iragazzi comeme eranoil futuroed eranolì per fare qualcosa di buono, di nuovo, per dare finalmente “voce” a quella forma di orgoglio, troppo pudìco, che spesso è stato sovrastato dalla violenza verbale dei pregiudizi altrui. Quante volte ho provato quelle sensazioni, insieme al profumo che sa di buono di casa mia: lontano da queiluoghi hoimmaginato unfuturo distante da quella casa, in cui sono nato e cresciuto, in cui mi sentivo forte.
Ogni tanto vi facevo ritorno e la mia mente, oggi, va ai discorsi che facevo ai miei genitori, cercando di spiegare perché non riuscivo ad immaginare un futuro per quella realtà, che trovavo ogni anno peggiore, ogni giorno più triste. Ricordo lo sguardo di mio padre, magistrato burbero solo in apparenza, che mi guardava divertito e silente, come la Calabriaama fare:avrei capitomolti anni più tardi laragione profonda di quel silenzio. Sapeva, e non voleva accelerare il corso della mia vita con discorsi che allora non avrei ascoltato, che un giorno avrei capito che solo tante solitudini, quelle che noi meridionali sentiamo dentro, sarebbero diventate la vera forza di una grandecomunità di persone libere. Forse anche per questo, mi ha sempre colpito quanto diceva qualche anno prima di morire Paolo Borsellino invitato a parlare della città in cui viveva e lavorava: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace, per poterlo cambiare” (Paolo Borsellino). Non servono strumenti culturali raffinati per interpretare al meglio questa grande verità: basta chiudere gli occhi e riflettere liberi da consigli e da condizionamenti esterni, consapevoli che nessuno ha il diritto fino in fondo di giudicare la mia o le vostre scelte, il significato che vorrò ovorretedare. Anchequellacheracconta Paolo Borsellino era la storia di una terra di frontiera, come la nostra: anche la storia che ci racconta in quella frase parla di amore e di cambiamento, parla di sogni e di speranze.
Di sogni e speranze è fatta la vita speciale dei ragazzi, la forza vera di questa terra: è la perdita della spinta ideale che ci fa invecchiare, che trasforma la vita degli adulti in unpercorso pienodi ostacoli.Quella spintala perdechisiritrova solonella inevitabile battaglia quotidiana. Non è necessario chiedere agli adulti quantevolte si sono sentiti soli:èpiù importante chiedere dove hanno trovato la forza di reagire, per chi lo hanno fatto. Lo hanno fatto per voi ragazzi, per il vostro futuro! È a voi che voglio suggerire un motivo in più per combattere la solitudine: è nemica della legalità. L’uomo solo non ha bisogno di leggi, non ha bisogno diregole, scritteo nonscritte, che disciplinino la sua vita in relazione a quella degli altri: l’uomo solo, anchevolendo, non potràmaipestarei piedia nessuno. L’uomo sologioca una partita che non potrà mai perdere: è una partita però che non vincerà mai! Ogginon mi rivolgo a voi da magistrato, vi parlo da amico: e vi dico che i magistrati, come Rosario Livatino, sanno bene cosa sia la solitudine, è una sensazione che chi è chiamato a giudicare l’agire di un altro uomo vive sulla sua pelle. È connaturata alla funzione del giudice la consapevolezza di decidere della vita altrui in perfetta solitudine. Da uomo solo è morto Antonino Scopelliti, ucciso dalla ‘ndrangheta il 9 agosto 1991, mentre percorreva una strada di periferia alle porte di Reggio Calabria: da pochi giorni era stato incaricato di svolgere le funzioni di pubblico ministero nel giudiziodi Cassazione relativo al maxi-processo alla mafia palermitana istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nino Scopelliti la solitudine la conosceva eccome: ‘…Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come un naufrago, solo col pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso…’ (A. Scopelliti)
Tre aggettivi: libero, onesto e coraggioso! Chi può dirsi davvero libero, onesto e coraggioso. Solo le persone che non hanno mai chiesto niente a nessuno, che non devono niente a nessuno, che hanno camminato e camminano con le proprie gambe, che non conoscono la collusione ed il compromesso: se penso ad un uomo libero, onesto e coraggioso, mi viene in mente la purezza dei bambini, dei ragazzi come voi. “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo” (Paolo Borsellino) La soluzione siete voi, siete voi il simbolo della legalità e del coraggio: è la vostra voce che rompe il silenzio, che colma gli spazi, che riempie di gioia, che disegna il futuro. Il magistrato antimafia lavora per sottrarre terreno alle mafie, per creare spazi di libertà destinati a creare opportunità di lavoro, di sviluppo, di svago per voi. Non dovete cadere nell’errore di ritenere, distrattamente o perché indotti a farlo da cattivi maestri, che il lavoro del giudice sia esclusivamente finalizzato ad emettere sentenze di condanna a carico di chi ha violato la legge: l’impegno quotidiano del giudice avrà raggiunto il suo scopo principale solo quando lo spazio di libertà cheè riuscito a recuperare, anche attraverso quegli arresti e quelle condanne, verrà percepito da voi come una sottrazione di consenso alle mafie.
Quello spazio di libertà - anche a costo della vita di uomini grandi come Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Scopelliti- è stato recuperato per tutti noi, per far sì che i nostri sogni possanorealizzarsi, le nostre aspirazioni non debbano scontrarsi con il sopruso e la violenza che ha ucciso Gennaro Musella, le nostre scelte siano volute, i nostri visi siano sereni, la nostra libertà di scegliere dove andare e cosa fare sia piena. Solo quel giorno quel giudice avrà ottenuto la certezza che il suo lavoro non è stato vano; tocca a noi dimostrare che il contributo che quel giudice è riuscito a dare è servito a far rinascere la speranza nella nostra amata terra. Quel giudice, vi prego di non cadere in un errore grave, non deve mai essere visto come un limite, come un argine alla possibilità di fare ciò che sivuole,senza controllo.Quelgiudice èil simbolo della libertàdi ognuno di noi, che incontra quale suo unico limite la libertà di chi ci è accanto! La sua funzione di riequilibrio si vanifica nel momento in cui l’effetto della sua azione non viene stabilizzato dall’azione dei beneficiati: tutti noi. Tocca a noi diventare, senza paura,parteattiva dellasocietà,non demandare sempre agli altri il compito di costruire: state sicuri che chi ci ha preceduto la sua parte l’ha fatta. Ora tocca a noi immaginare il nostro futuro e cercare di costruirlo al meglio, tutti insieme, con entusiasmo, con passione. Le mafie non costituiscano mai un alibi per non fare! Quel nonfare di ognuno di noi è l’armapiù forte di cui la mafia dispone: quel sistema criminale diviene perfetto proprio nel momento in cui per prevaricare non ha più bisogno di minacciare, di uccidere, di danneggiare, di violentare.
Quando lo spazio di libertà c’è, perché qualcuno anche a costo della propria vita è stato in grado di crearlo, è nostro dovere affermare che quello spazio è di ognuno di noi! Il bravo giudice, prima ancora quale semplice cittadino, ha questo compito: riconquistare gli spazi, eliminare gli ostacoli, sgomberare il campo dalle prevaricazioni tipiche dell’agire mafioso, rendere possibile l’opera di costruzione del nostro futuro. È compito suo rendere quell’opera di costruzione agevole e senza ostacoli: è compito nostro proseguirla e completarla, è compito nostro far capire alle altre componenti della società civile (la scuola, la chiesa, la politica, le associazioni, il volontariato, ecc.) che la strada da percorrere, tutti insieme, è una sola e deve tendere, con le parole e l’esempio, a rendere immune quel percorso virtuoso di ricostruzione da colpevoli ricadute. Ognuno di noi avrà l’occasione di proseguire e completare l’opera che qualcun altro ha iniziato. Quando quell’occasione si presenterà prendiamoci per mano, rompiamo il silenzio, diventiamo una cosa sola, non abbassiamo la testa, manifestiamo con forza le nostre idee, i valori del nostro percorso antimafia. Solo allora saremo sicuri che quell’occasione non verrà sprecata, che siamofinalmente giuntiad unapasso dal raggiungere l’obiettivo finale che ognuno di noi si è dato: sconfiggere lemafie! L’unicogrande dovere morale di ogni cittadino italiano! Questo pensiero è per te, cara Adriana, per ringraziarti della tua straordinaria capacità di dare voce alle avversità, di rompere il silenzio, di dichiarare senza sottintesi che a tutti noi è consentito stare solo dalla parte giusta: quella della legge!