DEMORALIZZATI, demotivati, depredati della certezza che i sacrifici, le rinunce, l’abbandono di qualsivoglia bene superfluo, possano costituire speranza di cambiamento che parta dal basso. In questo Sud del Sud del Sud (avete letto bene 3 volte Sud), che è la Piana di Gioia Tauro, due aspetti però possano fungere da alimento biologico di riflessione e di speranza:
1) L’esistenza in vita di tanti genitori e nonni ottuagenari, veri e preziosi ammortizzatori sociali in carne ed ossa per tante famiglie. La loro opera è meritevole di un encomio solenne, ma spesso essi non ricevono neanche le cure e le carezze che meritano, né intorno ad essi regna armonia ed unità familiare, e loro ne soffrono infinitamente. I loro preziosi risparmi di una vita non sono una manna caduta dal cielo, sono il frutto di un modello di vita lontano da quei modelli che invece spesso hanno ingannato ed irretito i loro figli, i loro nipoti. Consumismo e sperpero, banditi da una concezione di tipo autarchico, nella quale tanti di loro si sono formati, a questi vecchietti non li hanno ghermiti. Le privazioni dovute al periodo bellico e post-bellico per quanti non le hanno vissute non devono costituire un retaggio materiale di cui aver terrore; le privazioni e le rinunce hanno forgiato intere popolazioni che sono riuscite non solo a sopravvivere e lavorare, ma anche a risparmiare per gli altri, per figli e nipoti in difficoltà in questi tempi grami. Quando sento dire”Ndi mangiammu razzi !”,oppure “Ndi mangiammu erba servaggia”,penso dentro di mè – Grandi siete stati voi che avete conosciuto le difficoltà e avete scoperto come si campava con pochissimo! Quando la Domenica andiamo in campagna e raccogliamo “la minestra servaggia “ e ne mangiamo due giorni,tornandomene a casa penso alla terra che ci dà sempre qualcosa, non torniamo mai a mani vuote. Le verdure che crescono spontanee andrebbero riscoperte, così come la coltivazione delle patate,grande patrimonio nutritivo. Non ci vuole tanto, ma tanta nuova consapevolezza e buona volontà.
2) L’attenzione di tipo agro-alimentare non solo fa quadrare meglio i conti di un’economia domestica rigorosa alla quale, sono convinto, si ispirano tante famiglie, ma è fonte di alcune emozioni, che mi piace comunicare ai lettori di EDP e specialmente ad amici e conoscenti che non solo si sono innamorati della terra prima di mè e ne sono conoscitori. Tanti di loro hanno il pregio si non essersi fatti travolgere dalle illusioni del consumismo e del progressismo, tanti di loro addirittura sono capacissimi di fare, all’occorrenza, anche i meccanici, i falegnami, gli idraulici. Mi inchino di fronte a tanta esperienza ,versatilità e maestrìa, avranno di cosa dire ed insegnare ai loro figli e nipoti. Tutti questi saperi sono patrimoni che non vanno dispersi, così come va riscoperta e reinterpretata dalle massaie – bellissimo termine,molto di più di casalinghe – quell’arte e quell’amorosa dedizione di fare i dolci in casa, con pochi soldi. Come diceva uno spot televisivo di qualche decennio addietro “con la ricetta della nonnina, zucchero, latte e fior di farina”. Con questi ingredienti poveri, a cui si deve aggiunge un buon olio (grandissima sorpresa, al posto del dannoso burro) e qualche uovo fresco, vi garantisco – e lo dico per esperienza diretta familiare – che si riscoprono la gioia, il gusto dell’attesa, il piacere della convivialità, la bontà del dolce, la digeribilità (grazie all’olio) e…una nuova poesia. E, poi ripeto, si spende poco ottenendo il massimo e le mogli, autentiche governatrici domestiche, si sentono gratificate. Ma,alla fine sapete qual’è la cosa più bella ? Con qualcuno di quei dolci “portari ‘n’amurusanza” ai genitori – per chi ancora ha la fortuna di averli – o ad una zia ad un altro familiare. Personalmente,”l’amurusanza” che apprezzo infinitamente è ricevere un pane caldo fatto in casa o in campagna. Il suo profumo mi emoziona e mi inebria più di qualsiasi altro profumo. Dietro alle cose fatte in casa c’è un alimento di cui tutti abbiamo urgente ed insotituibile bisogno. Si chiama amore.
2 commenti
M.A.
12 febbraio 2012 a 20:03 (UTC 2) Link a questo commento
…anche le zeppole a Natale e il 19 marzo ,e le ‘ frittole’ di carnevale che nessuno porta più al proprio vicino…Che tristezza!
Quanto alla decrescita felice, vero che ci dobbiamo abituare a consumare con intelligenza e a limitare il consumo, il tutto già in atto e senza tragedie se non per le tante persone che mancano dei beni primari (trovandosi nella tragica situazione di disoccupati ) : da parte dei nonni che già praticano; dei genitori, quelli nati nel dopoguerra , periodo difficile di ricostruzione e di necessaria austerity; dei figli , perchè in tanti oggi consapevoli che, se non contraggono i consumi, si troveranno in un domani prossimo a vivere e morire in un e a causa dell’ ambiente del tutto compromesso e avvelenato.
Non sarebbe male, per lo stop alla superproduzione di beni inutili, reintrodurre i dazi… e guardare alla Cina, all’India con diffidenza : non modelli di sviluppo economico, ma Paesi che rendono tossico il pianeta e sempre più amara e dura la vita dei loro cittadini.
Mimì Giordano
12 febbraio 2012 a 20:03 (UTC 2) Link a questo commento
Bene lettore M.A, è interessante e coinvolgente avvicinarsi alle teorie della “Decroissance” di Serge Latouche e scoprire che in fondo è quello che,magari disconoscendo la filosofia della decrescita,hai cominciato,in piccolo, a pensare e a fare anche tu.In assenza di una,auspicabile, modalità “politica” di cambiamento del modello di sviluppo e di vita,tocca all’individuo consapevole una prima risposta con uno stile di vita ispirato proprio alla “benefica rinuncia” a beni o consumi ai quali ci eravamo abituati.La spiritualità farà la sua parte,ci aiuterà a desiderare sempre di meno e aiuterà a far comprendere a ricchi e materialisti che se ne volessero cibare,che essi hanno tantissime cose ma non riescono ad amarne una con sentimento.Io, che sono uno scarso lettore di libri,il recentissimo libro di Latouche “Per un’abbondanza frugale” lo voglio proprio leggere.E’ tempo di utopie e di rivoluzione delle coscienze,è tempo di far fuoriuscire quanto preme dentro di noi.Non ci ridurranno a vassalli e servi sciocchi di quanto si decide a Wall Street, nelle banche Centrali europee e nelle famiglie dei banchieri mondiali. Chi sono e qual’è il loro disegno mondialista lo sappiamo,ma per non intaccare certi dogmi, è paura istituzionalizzata e colletiva pronunciare il loro nome. La gente si azzanna e si isterilisce a parlar di politica italiana,ma l’Italia non conta più un……E’ altrove che decidono il nostro destino.Ma noi…ci ribelliamo e quindi……..CE NE FREGHIAMO !!!