REGGIO CALABRIA – Ora si sprecheranno pagine di inchiostro per denunciare la paventata chiusura dello stabilimento De Masi e per esprimere una scontata solidarietà ad un imprenditore onesto e coraggioso per incitarlo a non mollare. Il 3 maggio scorso a Gioia Tauro nonostante la presenza di alte personalità dello Stato al fianco di De Masi, ho registrato l’assenza di quella parte della politica che avrebbe dovuto già da molto tempo dimostrarsi concretamente vicina alle denunce del dott. De Masi, il quale ha fatto più volte trapelare il rischio di abbandonare la nave non per paura della ndrangheta ma per l’indifferenza di una parte dello Stato che è più pericolosa dei mafiosi. A fermarlo non sono le cosche che gli hanno regalato raffiche di mitra e lasciato in eredità una scorta, e neppure, paradossalmente, le banche con le quali vanta un contenzioso di anni e anni. A sfibrarlo, è la burocrazia di Stato che, dopo ben 14 sentenze del Tar e del Consiglio di Stato a lui favorevoli non gli riconosce ancora il diritto all’erogazione di quel fondo di solidarietà per (almeno) una decina di milioni di euro.
Il principale errore che si possa commettere in questi casi e’ proprio quello di far credere alla ndrangheta che i loro bersagli siano lasciati soli dallo Stato che dovrebbe dimostrarsi forte e pronto a non retrocedere di un millimetro rispetto ai propri doveri. Anche se non ricopro il ruolo che compete a chi dovrebbe procedere alla liquidazione delle somme vantate dal dott. De Masi, mi sento in dovere di chiedere umilmente scusa a quell’imprenditoria sana che rappresenta ancora una speranza di crescita occupazionale per la Piana di Gioia Tauro e che esempio lampante di legalità e senso del rispetto per il nostro territorio da cui spesso tanti scappano. Domani mi farò carico di portare l’argomento nella riunione dei capigruppo prevista per le ore 11 a Palazzo Foti, affinché si programmi un consiglio provinciale aperto che consenta di denunciare con forza la grave irresponsabilità di una parte di burocrazia statale che va richiamata al rispetto delle regole, perché non si può permettere che un pezzo dello Stato raggiunga un obiettivo fallito dalla criminalità.