REGGIO CALABRIA – La chiamano emergenza, ma dura da anni. La situazione dei migranti che lavorano nell’agricoltura a Rosarno è al centro di una lettera del consigliere provinciale Giuseppe Longo al premier Letta, al ministro dell’Integrazione Kyenge e ai presidenti di Regione e Provincia. Longo chiede interventi immediati per riportare supra la soglia della dignità umana quello che accade ogni anno nella Piana di Gioia Tauro. Ecco il testo integrale della lettera.
C’è un popolo di fantasmi che si aggira nella Piana di Gioia Tauro, sospesi nel limbo di un destino precario e balordo. Si tratta degli oltre tremila migranti africani che ogni anno, di questi tempi, ricompaiono come per magia nelle cronache quotidiane sotto la voce “emergenza”. Molti li chiamano “gli invisibili” ma la loro sofferenza è concreta e scricchiola nelle pieghe della nostra società borghese come il gelo dell’inverno nelle loro ossa. Le tendopoli in cui li abbiamo relegati, nella zona industriale intorno al Porto, non bastano più a placare i nostri sensi di colpa offrendo loro riparo: sempre più decadenti, quest’anno sono prive persino dell’elettricità e del calore dei volontari che negli anni scorsi provvedevano al loro sostentamento con un paio di pasti caldi al giorno. Poche settimane fa, uno di loro, il liberiano Man Addia, è morto di bronchite in una tenda gelata dalle infiltrazioni d’acqua. Ma l’inverno e appena cominciato. Lo scenario appena riassunto viene tuttora considerato emergenziale, sui giornali leggiamo espressioni come “nuova ondata di migranti” o “a Rosarno è di nuovo emergenza” e ogni volta ce ne stupiamo e spaventiamo, senza accorgerci che sono gli stessi titoli dell’anno scorso e, drammaticamente, di quelli precedenti. Ciò che affrontiamo ogni anno di questi tempi con mobilitazioni e contribuiti straordinari è, sotto gli occhi di tutti, la situazione cronicamente problematica dell’accoglienza dei migranti nel nostro territorio. Parole come “ondata” e “allarme” suscitano in noi automaticamente un atteggiamento difensivo: pensiamo subito a una nuova imminente rivolta, ci prepariamo a contrastare una “invasione” e, mossi infine da un sentimento di umana compassione, rispondiamo con mezzi straordinari e temporanei.
Quante volte abbiamo sentito le istituzioni fissare una data di smantellamento delle tendopoli di San Ferdinando? Ogni volta sembra che, passato l’inverno, l’intera situazione sia destinata a risolversi fisiologicamente e permanentemente. Ma quante emergenze annuali dovremo ancora affrontare prima di renderci conto che i movimenti migratori sono periodici e la parola giusta per definirli è, come dice Erri de Luca, “flussi”? Non “ondata”, dunque, con tutta la violenza che il termine si porta dietro, ma “flusso”, vitale, linfatico, capace, come nel caso della Riace di Mimmo Lucano, di irrorare le nostre terre aride e metterle a frutto. L’allestimento della tendopoli è stato un primo importante passo nel processo di umanizzazione della questione ma, a molti anni dalla prima installazione, possiamo dire oggi che è mancata scandalosamente la volontà politica per trasformare l’emergenza in una risorsa anche culturale per le nostre comunità. E, come spesso avviene in Calabria, è mancata la lungimiranza per evitarne la cronicizzazione. Le istituzioni che contano, dopo le periodiche passerelle, hanno abbandonato la situazione alle cure dei pochi e ormai impotenti sindaci che, pur non tirandosi mai indietro, si trovano oggi allo stremo delle forze. Coadiuvati da una manciata di volontari e qualche parroco, i primi cittadini di Rosarno e San Ferdinando garantiscono un minimo di umanità ai nostri fratelli africani ma da tempo ormai lanciano il loro grido di disperazione: sono stati lasciati soli da una Regione e da un Governo sordi e insensibili.
Di nuovo, dunque, rivolgo un appello al Presidente della Provincia affinché, nei limiti delle difficoltà di bilancio a me ben presenti, faccia un ennesimo sforzo per rendere onore anche all’istituzione che rappresenta, un ente troppo spesso ritenuto inutile e che invece si dimostra continuamente il più sensibile alle reali esigenze del territorio. Allo stesso modo, invito la Regione e il Governo a individuare insieme ai sindacati e ai sindaci di Rosarno e San Ferdinando una strategia condivisa capace di pensare e consentire una convivenza civile tra le diverse culture, a cominciare da un piano di sensibilizzazione per la nostra comunità al senso del dovere istituzionale e, soprattutto, a un sentimento di fratellanza sempre più raro e irrintracciabile. Dimostriamo che la cultura dell’accoglienza non può esaurirsi nei discorsi ampollosi delle istituzioni e dei politici in campagna elettorale ma che essa è il valore umano più alto da mettere in pratica in tempi duri come quelli attuali.