REGGIO CALABRIA – “Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che dà il via libera è imbarazzante, sprezzante della volontà dei territori ed assolutamente attaccabile sotto il punto di vista amministrativo. Ed è evidente che non faremo mancare il nostro contributo in tribunale come del resto abbiamo già fatto con i diversi ricorsi sulla riconversione a carbone della centrale ad olio di Porto Tolle sul delta del Po, presentati insieme alle altre associazioni nazionali, ai comitati locali e ad alcune categorie produttive del luogo. E in tribunale faremo valere tutte le nostre ragioni”. È questo il commento di Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente, sulla firma del Premier Mario Monti al decreto di Via per la realizzazione della centrale a carbone di Saline Ioniche. Dopo che il ritorno al nucleare è stato fermato per volontà popolare grazie al referendum del 12 e 13 giugno dello scorso, mentre le rinnovabili crescono nonostante gli ostacoli posti dal governo dei tecnici, e in particolar modo dal ministro Corrado Passera, la “nuova” via elettrica italiana proposta dall’esecutivo e dalle grandi aziende energetiche è quella di un “ritorno al passato” verso la fonte fossile più inquinante: il carbone.
Da decenni Legambiente chiede che il nostro Paese equilibri il suo mix di fonti per la produzione elettrica ed energetica e riduca le importazioni e la bolletta ma farlo con la fonte più inquinante e climalterante equivarrebbe ad un suicidio economico, oltre che industriale, per il sistema Paese, con una “rinascita economica” che riguarderebbe solo il bilancio delle aziende energetiche a danno delle casse dello Stato, delle tasche dei cittadini e delle imprese, soprattutto a causa delle multe previste dagli accordi internazionali. Il carbone non serve all’Italia per risolvere i suoi problemi energetici, perché peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato nelle centrali elettriche italiane; non abbasserà la bolletta energetica del Paese, visto che dei potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile beneficeranno soprattutto i bilanci delle aziende energetiche e faticheranno ad arrivare nelle bollette degli italiani; peserà alla fine sulle casse dello Stato e sulle tasche degli italiani, perché non ci permetterebbe di rispettare gli accordi internazionali sul clima e pagheremo i danni provocati alla salute e all’ambiente con costi del sistema sanitario e del disinquinamento ambientale. La nuova centrale a carbone di Saline poi non serve al Paese né tantomeno alla Calabria che esporta energia e ha scelto nel suo piano energetico la strada dell’efficienza e delle rinnovabili. All’Italia infatti non servono affatto nuove centrali termoelettriche, a maggior ragione se a Carbone come nel caso di Saline.
Oggi il nostro paese ha più centrali di quelle che servono: ci sono impianti per 110mila MW, ma i picchi di consumo non sono mai andati oltre i 57mila MW. Invece che investire sul carbone, bisognerebbe mandare in pensione i vecchi impianti inquinanti e rimpiazzarli con innovazione tecnologica, politiche di efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili. “La SEI non canti vittoria prima del dovuto – aggiunge Stefano Ciafani – e la smetta di spacciare per ambientalmente avanzato sul fronte delle emissioni di anidride carbonica il suo progetto predisposto alla cattura e al confinamento della CO2 perché la stessa azienda sa bene che questa è ancora una tecnologia da sperimentare su grande scala, e che comunque abbasserebbe il rendimento della centrale con evidenti ricadute sulla presunta economicità di questo impianto, che di fatto renderà irrealizzabile la sua fattibilità”. “Non si tratta comunque solo di emissioni di CO2 – ricorda Nuccio Barillà, della segreteria nazionale di Legambiente – il carbone è anche una grave minaccia per la salute di tutti: come descritto puntualmente nell’allegato A al decreto di VIA firmato dal premier Mario Monti, la combustione del carbone rilascerà in atmosfera un cocktail di inquinanti pericolosi, a partire dalle polveri ultrafini e i metalli pesanti, che coinvolgeranno un’area molto più vasta di quella intorno alla centrale con pesanti ricadute sanitarie, di cui la provincia di Reggio Calabria e più in generale il nostro Paese non hanno certamente bisogno, anche alla luce della procedura d’infrazione sul mancato rispetto della direttiva sulla qualità dell’aria che grava sulla testa di tutti noi”.
“La Regione Calabria – conclude Barillà – si opponga in tutte le sedi, anche in quelle giudiziarie, a questa decisione centralista del governo che getta alle ortiche il no compatto che il Consiglio regionale ha votato contro l’uso del carbone per la produzione elettrica sul territorio calabrese. Ed è per questo che ci aspettiamo una coerente risposta anche in sede amministrativa da parte dell’amministrazione regionale contro questa ennesima operazione colonizzatrice di cui la Calabria non ha alcun bisogno. La reazione sdegnata che il decreto Monti ha già prodotto nell’area grecanica dovrà pesare da subito nell’orientamento della Regione contro questo progetto scellerato”.