• Gestire la cosa pubblica è cosa diversa dall’imporre le proprie idee; il dissenso non è ostacolo ma ricchezza. Una riflessione a margine dello scontro politico di questi giorni
    27/07/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    L’ATTO DI GESTIRE LA COSA PUBBLICA è esplicitamente l’atto di volersi impegnare affinché le proprie qualità e capacità vengano impiegate per il raggiungimento del fine ultimo affine a quello della collettività che si sovrintende, che è quello di estendere a tutti, ed al meglio possibile, il godimento dei beni comuni in un armonioso compendio tra equilibrio ed efficacia. Ma molto spesso, si cade nell’errore di scambiare questa possibilità con l’idea di affrancare le proprie idee ed elevarle al di sopra delle parti, quasi emarginando il resto del mondo da ciò che accade sopra le loro teste, in una atavica carenza di rapporti, coinvolgimenti e confronti quale antitesi dell’essenza alla missione cui si è stati indirizzati dal suffragio popolare.

     

    Questo è il deficit in cui incappa il politico ebbro, erroneamente pervaso dal paradigma: gestire = potere, che in una ottica di inadeguata lungimiranza non coglie l’opportunità della compartecipazione quale arricchimento di idee, progetti e azioni di quel percorso naturale e transeunte che delimita ogni umana impresa. In più, questo modus operandi, nel cronicizzarsi, diviene nel contempo, un boomerang formidabile scagliato ad ampio spettro, che non solo molto di frequente manca di incidere sugli obiettivi prefissi ab origine, oltretutto, rischia d’avversare la propria sorte politica, insinuando nel comune pensare, il seme dell’inquieto dilemma se l’attribuzione del richiesto consenso sia stata ben riposta, e dibattendo in second’ordine il quesito se questo abbia apportato o meno una fruttuosa utilizzazione. Il governatore ponderato, non guarda di continuo e con maliziosa circospezione alla mano tesa ed alla richiesta di dialogo che pervengono dagli altri attori istituzionali come per volervi cogliere, ad ogni costo, l’insidia e l’inganno anche quando non ve n’è parvenza. Semmai tende l’orecchio e ascolta. E dialoga.

     

    Poiché la politica, non è solo retorica. Essa è la nobile arte dell’incontro, che spesso si è adusi contaminare con concetti estranei, con macchinazioni endogene e personalistiche, con elucubrazioni torve, con retropensieri maldestramente eterodiretti, con privati infingimenti ma soprattutto con l’impossibilità di accettare e gestire il dissenso, vera pietra dello scandalo, percepito come l’ostacolo, la frapposizione intralciante che separa dal traguardo, da contrastare e respingere sino all’abolizione, come mero atto di potestà. Allora fermi tutti. Giova ricordare che trascorsi sono i tempi del concitato imperio, e il celere ubbidir. Ora il motto richiama l’allerta sentinella! E, allerta, allerta sto! Diversamente, tutto rischia di scadere nella surroga a prescindere. Ed a quel punto la delega della volontà concepita come mandato a decidere, diviene non solo inutile, ma anche e soprattutto, edonistica e nociva.