• Illegittima l’Iva sulla Tia. Chiesti i rimborsi, lo Stato li nega. Le ire dei consumatori scatenano le class action
    16/11/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    A STABILIRE L’ILLEGITTIMITA’ dell’Iva sulla Tia (Tariffa igiene Ambientale) applicata da alcuni comuni in sostituzione della Tarsu (Tassa sui rifiuti solidi urbani) è stata la sentenza della Corte di Cassazione n. 3756 del 9 marzo 2012, ma ad aprire la strada ad una miriade di contestazioni da parte delle diverse associazioni dei consumatori ci aveva già pensato, per la verità la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 238 del 24 luglio 2009, aveva infatti stabilito che la Tia era una tassa – non già una tariffa – e pertanto, sulla stessa non era  applicabile l’IVA, dunque, dando il via libera all’innesco di copiose richieste di storno, quando non addirittura di veri e propri rimborsi da parte dei contribuenti. Ma è notizia recente quella secondo la quale, a seguito di un incontro tenutosi presso il Ministero dell’Economia tra associazioni dei consumatori e rappresentanti del Governo – rivelatosi infruttuoso – questi ultimi, pur non potendo fare a meno di riconoscere la validità delle istanze prodotte, abbiano fatto spallucce rivelando candidamente che i soldi per i (potenziali) risarcimenti – stimati in circa 1 miliardo di €, dal 1999 al 2008 – non ci sono, con la  conseguenza che non se ne potrà fare nulla. Proprio così.

     

    Ma a dare battaglia sul campo rimangono proprio le associazioni degli utenti che a ritmo frenetico si stanno adoperando per far ottenere i rimborsi ai cittadini che hanno pagato l’imposta non dovuta, invitandoli ad avanzare richiesta di immediata cessazione dell’applicazione dell’Iva senza aspettare il 1 gennaio 2013, quando, l’imposta sul valore aggiunto scomparirà con la nuova tassa sui rifiuti. Per inciso, le richieste inoltrate al Governo spaziavano dai rimborsi strictu sensu, alle compensazioni, fino alla possibilità di poter detrarre gli importi attraverso la dichiarazione dei redditi. Ma accertato il nein dell’esecutivo, è partita la mobilitazione. Tra tutti spicca l’iniziativa dell’associazione Altroconsumo che si è attivata per una class action collettiva attraverso cui, si spera, di poter dare riconoscimento ad un diritto violato di circa 17 milioni di cittadini, valorizzando a pieno la doppia sentenza. Il dato che maggiormente stupisce è la inesigibilità del risarcimento, reso impossibile per “crisi”.

     

    La tesi offerta dall’esecutivo sarebbe stata, per grandi linee, la seguente : siccome siamo in un periodo difficile le cui ristrettezze economiche sono innegabili, recuperare le risorse per far fronte ai rimborsi non è tecnicamente possibile in quanto i soldi non ci sono, a tal pro (io Governo) non risarcisco (te contribuente) per ciò che ti ho fatto (seppur indebitamente) pagare appellandomi al pretesto dell’interesse generale. Certo però un fatto resta paradossale e si conferma in tutta la sua tragicomica verità. Vale a dire : quando a vessare è lo Stato, ed il cittadino è soccombente, il contribuente deve ad – ogni costo – reperire le risorse per far fronte alle proprie obbligazioni, pena l’esecutività del credito rivendicato. Ma quando, al contrario, è lo Stato ad essere debitore, la certezza del diritto per il cittadino diviene inefficace, potendosi esso autoassolvere, stralciando a proprio vantaggio la scomoda posizione, autodispensandosi da ogni dovere. Tagliando corto, in questa occasione lo Stato parrebbe aver scelto di scalare il monte per la via più breve. Prestando però il fianco ad un azzardo. Offrendo, in epilogo, in maniera manifestamente illegittima, meno opportuno esempio di preoccupante anarchia giuridica.