LOCRI – “La nostra terra, povera, ma abitata da gente semplice e di grande dignità, si ribella di fronte ad ogni forma di xenofobia, di sospetto e pregiudizio verso lo straniero”. E’ il Vescovo di Locri, mons. Francesco Oliva, a scriverlo nella lettera alla diocesi nella quale ‘apre’ all’accoglienza e alla solidarietà .”Non crediamo – aggiunge Oliva – che i migranti possano portare sconvolgimenti nella sicurezza sociale: che ci facciano perdere identità e cultura, che possano alimentare concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, introdurre nuova criminalità”. Forte e chiaro il no del Vescovo a ogni forma di discriminazione nei confronti dei disperati che cercano in altri luoghi un nuovo futuro: “Rinneghiamo – evidenzia Oliva – ogni tentazione razzista, per restare fermamente dalla parte di Gesù, che è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli. Attraverso di loro il Signore ci chiama a condividere ‘i cinque pani e due pesci’, pronti anche a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Non c’è in noi alcuna paura dello straniero.
Grande invece è il desiderio di incontro e la voglia di abbattere ogni barriera e pregiudizio: gli immigrati, per noi non sono un pericolo, ma figli dello stesso Padre. Come noi. La loro presenza accresce il desiderio di conoscenza ed apertura. Noi sappiamo che i migranti che approdano sulle nostre coste non lo fanno per restare. Sono solo di passaggio. Non disprezziamo il loro grido di disperazione e disagio, anche per le lunghe attese di un permesso di soggiorno. Tante sono le difficoltà da superare: le strutture di accoglienza, che pur ci sono, non sono sempre adeguate e mancano le risorse per renderle adeguate. Molte associazioni di volontariato, che rispondono ai bisogni del momento, lamentano ritardi da parte delle pubbliche istituzioni e non riescono a sopportare i costi di gestione. Le conseguenze di tali ritardi sono gravi e possono mettere in crisi l’intero sistema di accoglienza. Pur nella scarsità di mezzi e risorse, come Chiesa cerchiamo di fare la nostra parte nell’opera di accoglienza, di mettere a disposizione le poche strutture che abbiamo, anche se mancano i mezzi economici, per renderle idonee.
Le nostre comunità sono chiamate ad un supplemento di amore, in modo da farsi ‘casa che accoglie’, aperte all’ospitalità. Chiediamo scusa per tutte le volte, che, nella disperazione, ci siamo lasciati prendere da forme di esasperato individualismo e di egoismo. Mentre il fratello ci chiedeva asilo e attenzione, abbiamo rinserrato ‘i cancelli’ del nostro cuore”. Il Vescovo di Locri ha poi evidenziato che “a pochi giorni dalla Pasqua, quando ancora sono vivi in noi i riti di una settimana santa intensamente partecipata, ci chiediamo: Cosa resta di così grande Mistero? Cosa lascia in noi il Dio che ci ha amati sino alla fine ed ha dato se stesso per noi sulla croce? Cosa vuole da noi il Signore che ci viene incontro nei fratelli ‘più piccoli’, poveri, malati, migranti o profughi? Riusciamo a vederlo nei volti smarriti di ragazzini e giovani, che hanno impressi nei loro occhi la via dolorosa della fuga nel deserto, il terrore della traversata del Mediterraneo, la solitudine profonda di povere vite, il bisogno inespresso di speranza?
Queste domande ci poniamo in un momento, in cui sono sempre più numerosi gli sbarchi di profughi e migranti, provenienti da aree geografiche martoriate dalla guerra, dalla violenza, dalle persecuzione e dall’estrema miseria. A noi è richiesto di dare loro una mano, non una fredda accoglienza. In una Calabria, già piegata da mille problemi, l’accoglienza è la grande sfida del nostro tempo. Siamo la Locride, il Sud del sud, terra di periferia, bella e amata da Dio, ma afflitta da tanti problemi. La Locride! Anch’essa da tempo terra di emigrazione. Molti sono stati costretti ad andare via in cerca di lavoro. Non sono più tornati, se non per brevi periodi di ferie. Tanti sono i giovani che si allontanano direzione Nord. Anch’essi in cerca di lavoro ed affermazione – conclude Oliva – lasciando casa e famiglia, senza certezza del domani, senza sapere se e quando potranno ritornare. Ma in tale difficile realtà non ci sentiamo affatto rassegnati”.