ROMA – «Sono stati 132 gli omicidi consumati dal 1974 a oggi più altri 11» che riguardano per lo più familiari degli amministratori. Si tratta di amministratori comunali, provinciali e regionali, «uccisi prevalentemente dalle mafie, dal terrorismo, da semplici cittadini che vedevano in loro un ostacolo da abbattere, un impedimento per le loro pretese». È quanto si legge nella relazione messa a punto dalla presidente della Commissione sulle intimidazioni agli amministratori locali Doris Lo Moro ora all’esame dell’Aula del Senato. «Sono nella stragrande maggioranza uomini, ma ci sono anche tre donne. Hanno un’età media che non supera i 46 anni, il più giovane appena 22, il più anziano 63. Appartenevano a tutti gli schieramenti politici ma vivevano prevalentemente nel sud Italia: Sicilia, Campania e Calabria nel 73% dei casi e in quattro province in particolare: Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Caserta», aggiunge la Lo Moro. «Quando sono stati uccisi – si sottolinea – erano consiglieri comunali in carica (il 53%), o avevano incarichi assessorili (il 20%), o erano sindaci (il 14%) oppure amministratori provinciali e regionali ovvero infine candidati per un futuro possibile da amministratori locali». «Il decennio peggiore, gli anni 80, il decennio della grande mattanza in Calabria, Campania e Sicilia: 61 morti. L’anno peggiore, il 1990: 12 morti, 1 al mese, 8 solo in Calabria.
I motivi che originano la loro uccisione sono vari: nel 47% dei casi è, o è verosimile sia stata, la criminalità organizzata a decretarne la morte, anche per vendette trasversali; il 14% degli episodi originano dal disagio psicologico degli assassini, ovvero dal rancore maturato per presunti torti subiti; nell’8% degli omicidi prevalgono motivi personali legati alla vita privata 4; la criminalità comune ha colpito nel 5 per cento dei casi; il terrorismo è stato responsabile del 4% delle uccisioni allo stesso modo della rivalità politica esasperata. Infine nel 18% dei casi le possibili cause sono troppo labili o diverse per potersi esprimere con relativa attendibilità», conclude. «Complessivamente gli atti intimidatori rilevati sono stati 870 nel 2013 e 395 nel 1 quadrimestre 2014, per un totale di 1.265. Le regioni più colpite sono, in ordine decrescente, Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna», aggiunge. «La ripartizione geografica più colpita – è scritto nella relazione di Doris Lo Moro – è quella Sud con il 35,2 % dei casi. Sud e Isole rappresentano il 63 % di tutti i casi nazionali. Al contrario, le regioni dove il fenomeno appare praticamente inesistente sono: la Valle d’Aosta (con nessun episodio), Molise, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia». «Il trend del quadrimestre 2014 – si sottolinea – è in crescita rispetto all’anno 2013 e tale condizione si registra in tutte le ripartizioni geografiche e quasi in tutte le regioni con l’esclusione di Piemonte, Umbria, Basilicata e Sardegna, mentre è stabile in Liguria e Trentino-Alto Adige».