E’ PARTITA a fine marzo la controffensiva dei Radicali italiani avverso i doppi, tripli e talvolta quadrupli incarichi derivanti dalla carica di deputato o senatore in concomitanza con altri mandati istituzionali eventualmente ricoperti dagli eletti in parlamento alle ultime consultazioni nazionali. E non par neppure trattarsi di casi isolati poiché la fattispecie effettivamente interessa ben 59 neo onorevoli che riottosi alla norma costituzionale all’art. 122, comma 2 della Costituzione ed all’art. 4, comma 1, della legge n. 154/1981 continuano nonostante l’evidente inconciliabilità a sedere in più scranni quasi contemporaneamente. Eppure, la legge prescrive che l’interessato debba scegliere a quale mandato aderire entro dieci giorni dal verificarsi della situazione di incompatibilità. Dunque una pioggia di ricorsi “radicali” stanno per abbattersi sugli stakanovisti del mandato elettorale che forse per scaramanzia, forse per retaggi da vecchia repubblica o forse per altro – come vaglieremo di seguito – ancora non hanno sciolto il dilemma e optato per la democratica rappresentanza a cui intendono votarsi.
Questo per una palese inerzia delle Giunta delle elezioni di Camera e Senato a cui rispettivamente spetterebbe il compito dirimente la questione di ineleggibilità attraverso una debita ricognizione interna, ma che son lungi ancora dall’ essere formate viste le pastoie burocratiche in cui ancora è impantanato il parlamento – dettagli non di second’ordine – che tiene letteralmente in ostaggio un (ex) governo del presidente che – sebbene detestato da tutti gli attori politici che lo hanno dapprima sostenuto a causa di un’emergenza nazionale che, a quanto pare, è tutt’altro che superata – seppur in regime di prorogatio ha il compito di curare il disbrigo degli affari correnti; per non parlare della carenza di un nuovo governo abortito – come s’è visto – prima di nascere, e momentaneamente surrogato dal patrocinio abbastanza inerte dei dieci saggi nonché dalle complicazioni di gruppi parlamentari che ancora stentano a formarsi per beghe di difficile comprensione.
L’unica certezza è un disaccordo bipartisan regnante sovrano ben al di sopra gli interessi nazionali che si dovrebbero, in quelle alte sedi, sovraintendere. Ma se si osserva un po’ più attentamente il curioso paradigma dei possibili decadenti, un chiaro motivo di circospezione in questi consapevoli comportamenti c’è. Il quadro politico piuttosto frammentato ed instabile prodotto dalle urne ingenera costantemente il rischio di una decomposizione del parco parlamentare degli eletti e certamente aumenta l’allettamento a conservare un posticino “sicuro” e pronto a scongiurare ogni infausta evenienza che potrebbe mettere a repentaglio la salvaguardia della personale carriera politica locale, specie per i professionisti del settore sempre meno propensi alla rottamazione, men che meno in tempi di crisi. Meno male che di questa inconcludente situazione non faranno le spese, come sempre avviene, le tasche degli italiani non essendo prevista l’aderenza tra cumuli d’incarico e sommatoria di emolumenti. Infatti, pur riscontrandosi doppi (o multipli) incarichi, l’erogazione della prestazione economica sarà comunque una (e chiaramente si tratterà dell’indennità di carica più conveniente per il virtuoso mandatario).