Galatro – La pandemia non ferma l’arte e per fortuna moltissimi creativi trovano quotidianamente il modo di potersi esprimere attraverso i canali che oggigiorno la tecnologia mette a disposizione di una utenza praticamente sterminata. Così è stato per l’ultima performance del duo Diana Manduci ed Antonio Policriti che hanno voluto rappresentare, con degli scatti molto diretti e carichi di pathos, il travaglio che la gente comune ma anche tutto il mondo della cultura, delle arti (visive, rappresentative ed espressive) e dello spettacolo stanno attraversando per via dell’emergenza covid che ha messo a nudo le molte fragilità di un ecosistema delicatissimo. Un paracadute che taglia fuori molti, che spesso si apre in ritardo e che non appare sufficiente e che soprattutto amplia il paradigma delle incertezze e delle paure personali, paradossalmente umanizzando ancora di più la natura degli esseri umani, chiamati a fare i conti con le loro angosce, le ambasce quotidiane ed i timori di un contagio la cui trasmissione costruisce il proprio ciclo riproduttivo sul contatto, sulla vicinanza, sulle relazioni. Un virus per sfuggire al quale le contromisure principali vengono basate sulla “disumanizzazione” dei rapporti cercando di spezzare quanto di più caro all’indole dell’uomo, animale sociale per eccellenza, attraverso il “divieto” di vicinanza e, in subordine, di intessere relazioni interpersonali. Ecco allora che gli scatti di Diana Manduci cercano una via di fuga e di ribellione ad uno stato di cose che sembra precipitare verso l’asettico mondo dell’individualismo ribaltando – chiaramente, artisticamente, con lo strumento dell’arte visiva – un archetipo al quale non si intende sottostare in eterno e verso il quale si rifugge ogni forma di assuefazione. Un uomo ed una donna avvolti in un abbraccio nel contesto di una ambientazione tenue e fiabesca, prettamente autunnale ed al limite dell’onirico; una stretta adamitica nel pieno dei profumi della natura e del foliage che pone al centro della scena un risveglio ideale, quello del sodalizio dell’amore, unico motore del mondo, prima sopito benché forzosamente anestetizzato e condensato nell’achenio di castagno. Un sonno della ragione e dell’affettività che questa pandemia ha contribuito ad acuire in una sorta di neo-nichilismo del ciascuno per sé a cui i protagonisti contrappongono il positivismo dell’essere, nella loro stessa consistenza di carne e sentimenti, di sguardi e tenerezze, di abbracci e percezioni assolutamente scevri da qualsivoglia volgarità e provocazione. Immagini di una bellezza struggente e raffinata che offrono allo spettatore non già la visione di due corpi nudi quanto la testimonianza più verace di cosa sia l’arte e di quanto bene all’animo essa profonda nelle sue innumerevoli sfaccettature. In un periodo storico nel quale ogni forma di “ribellione” culturale viene ostracizzata – quasi a voler inoculare alle masse il vaccino del pensiero omologato e dei comportamenti stereotipati in serie – lo shooting rappresentato nel lavoro di Diana Manduci apre una finestra sul mondo degli interrogativi ed offre, fortunatamente, un segnale di vita e di speranza, un “urlo” potente e deciso a ribadire con forza che l’arte e l’amore ci sono e sono quanto mai vivi e vicini a ristorare la speranza di poter riprendere presto in mano le proprie vite ed a riconquistare ognuno il proprio frammento di umana quotidianità. Affinché si possa riprendere presto la propria strada ed affrontare il viaggio verso la meta indefinita del futuro, accompagnati dai lumi del desiderio di conoscere, fino in fondo, il film variegato della vita. Ognuno con la sua storia.
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La forza dell’amore negli scatti d’autore di Diana ManduciLa riconquista dei rapporti umani, inibiti dalla pandemia, in un mini shooting firmato dall'estro della fotografa galatrese. Quando (per fortuna) l'arte non va in quarantena15/11/2020 | Giuseppe Campisi | Edp