CINQUEFRONDI – A tutti i nostri caduti di tutte le Guerre. Che il vostro ricordo resti per sempre nei nostri cuori. Che riposiate in pace, lontano dalla vostra amata terra, lontano dai vostri cari , che avreste voluto conoscere. Ma io son certo che la vostra anima è accanto a noi. Ciao nonno, ti avrei voluto conoscere, come tu avresti voluto conoscere tuo figlio, ”partu eu e non lu vidu nesciri “. Mio padre è nato. Mio nonno è morto : 10 – dicembre – 1915 Dopo essere stato ferito in combattimento sul Monte San Michele in un ospedale di campo a Palmanova (Udine)
Renato Macedonio
MILITARI CADUTI NELLA GRANDE GUERRA DEL 1915 – 1918 DI CINQUEFRONDI
Sono 11 i caduti trovati nell’ Elenco Regione Calabria dei caduti della Grande Guerra (www.cadutigrandeguerra.it). Un amico mi ha detto che i caduti nella guerra del 1915 -1918 e seconda guerra mondiale di Cinquefrondi sono circa 100 cittadini di Cinquefrondi.
Un Reggimento di calabresi alla Grande Guerra
di Giovanni Quaranta
Adolfo Zamboni, glorioso ufficiale del 141° di origine ferrarese, nei suoi scritti decantò le doti umane e di combattenti dei calabresi per come egli stesso ebbe modo di conoscerli, ma non mancò di sottolineare le difficoltà che gli stessi riscontravano nei rapporti interpersonali.[8] Ne dipinse un profilo molto attento e preciso con frasi accorate che soprattutto oggi, che ancora si assiste ad una forma di razzismo strisciante e si sente parlare di “Repubbliche del Nord”, dovrebbero essere incise a lettere d’oro nelle menti di tutti gli italiani.
“Piccoli, bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi, questi poveri figli di una regione abbandonata lasciarono le loro casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade che il nemico mirava dall’alto, bramoso di conquista e di strage. Percorsero tutta la penisola verdeggiante e sostarono nelle trincee scavate nella roccia e bagnate di sangue. Fieri e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i Calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo consacrarono tutta l’energia dei loro rudi cuori, tutto il vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti, ed aprivano tutto il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore; all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con indifferenza il pericolo. I compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano considerati alquanto retrogradi e selvaggi, guardarono da principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldatini dalla parlata tanto diversa e così schivi di convenzioni; «terra mata» e «terra da pipe» erano gli appellativi che talvolta scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e cresciuti nelle terre del meridione. Però, quando la fama incominciò a diffondersi e a divulgare il loro valore e la loro audacia; quando si videro quei forti campioni muovere decisamente e costantemente all’assalto sanguinoso di posizioni inespugnabili; quando infine seppe l’ecatombe offerta dal popolo dell’Italia negletta, allora in tutto il Paese nostro si levò una voce concorde di ammirazione e di plauso e si benedirono quelle coorti di giovani dalla salda fede e dal fervido entusiasmo”.