UN MIX DI provocazione ed amarezza. Sono questi i sentimenti che accompagnano cittadini ed imprese apprendendo le strategie mercantili degli istituti di credito italiani, specie dei maggiori (Unicredit, Banca Intesa, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare) che dopo essersi accaparrate lo scorso fine dicembre circa 116 miliardi di € da parte della Banca Centrale Europea al convenientissimo tasso dell’1% hanno ben pensato di ricollocare i danari ricevuti nuovamente presso la BCE per aumentare i loro indici di ricapitalizzazione e per meglio esibirsi sui mercati internazionali ove sperano di riconquistare fette di mercato e rastrellare ulteriori capitali magari per poterci nuovamente speculare. E’ puramente vergognoso che in un momento di grande stretta per il credito imposta a imprese, famiglie e consumatori le banche italiane, che sono poi quelle che più d’altre hanno attinto a piene mani dal forziere europeo, abbiano inteso porsi nel senso più autenticamente conservatore in tema di impieghi.
E dire che questi fondi erano stati messi a disposizione per il rafforzamento del sistema creditizio, ormai fallace ad ogni minimo colpo di tosse degli attacchi della speculazione internazionale, ma solo in parte. Larga parte erano, nelle primordiali e forse velate intenzioni della stessa BCE, destinati ad allentare la tenuta mordace del credito a favore del tessuto produttivo e dei consumatori finali. Nulla di quanto sperato sì è finora realizzato. E pensare che sarebbe stato quanto mai opportuno che le imprese avessero potuto ricevere liquidità fresca da immettere in azienda per far ripartire il sistema produttivo praticamente frenato dalla drastica riduzione di affidamenti comminata e da innalzamenti di tassi a dir poco a livelli di codice rosso, quando va bene. Ma anche per il credito al consumo o microcredito sarebbe stato un toccasana poter sbloccare fondi per il riavvio di consumi di famiglie e privati, che da soli rappresentano il vero motore della potenziale ripresa dell’economia.
A questo si aggiunga la derisione. Già perché le banche per poter accedere a questa enorme massa di liquidità si sono servite del decreto “Salva Italia” utilizzando come collaterali anche bond con la garanzia del governo italiano per 40,4 miliardi (una possibilità offerta dalla legge medesima), quindi garanzie pubbliche. Allora non è proprio il caso di falciare indiscriminatamente le richieste, talvolta d’aiuto, di imprese e consumatori che chiedono di poter essere messi nelle condizioni di accesso al credito proprio quando la liquidità da manchevole è divenuta esistente e disponibile. E continuare a tenere i rubinetti chiusi o pretendere garanzie onerose, spesso vessatorie, e magari a spillare tassi d’intersse border line all’usura da parte di aziende e privati per consentire l’accesso al credito anche quando formalmente ne esisterebbero tutti i presupposti è fare davvero male all’economia del proprio paese. In questo senso si registra un silenzio assordante in primis da parte della Banca d’Italia, che si limita a sciorinare blandi comunicati sullo stato dell’economia non fornendo alcun argine allo strapotere degli istituti di credito nostrani che continuano imperterriti a fare il bello ed il cattivo tempo sulle teste di imprese e consumatori ed a dettare, di fatto, legge tenendo al cappio in una morsa stringente i destini di imprenditori, lavoratori e cittadini. Ed anche il Governo, su questo tema, non ci stà facendo certo bella figura. Se uno degli intenti dichiarati dell’esecutivo è quello di diminuire la disoccupazione ed incrementare l’economia attraverso l’innalzamento del pil, i ministri Monti, Passera e Fornero dovrebbero puntare lo sguardo anche su ciò che tocca la vita reale dei cittadini. Bene la lotta serrata all’evasione. Ottimo pensare ad una riforma del mercato del lavoro che rassicuri e tuteli insieme lavoratori ed imprese.
Magnifico pensare ad una riduzione del debito pubblico, ma unitamente vi sarebbe una impellente necessità tra il concitato imperio e il celere ubbidir (Manzoni dixit) di imporre alle banche di sbloccare almeno quei fondi ricevuti quasi a gratis dall’Europa per renderli fruibili alla collettività ed al tessuto produttivo facendo cessare il credito stringente selettivo a favore di una più ampia disponibilità verso aziende e consumatori che chiedono, avendone titolo, che non si serrino a doppia mandata anche le più elementari aspettative di normalità. Non è più tempo per il credito elargito, nepotisticamente per i rapporti ed irresponsabilmente per gli effetti ai soliti noti con le tasche piene e le teste vuote. Occorre inevitabilmente anche in questo campo mostrare coraggio ed attuare subitanee riforme per ridurre un gap che si è rivelato sinora condizione determinante per la crescita e lo sviluppo.