E’ UNICA, CUBA. Lo è per la sua bellezza e per la sua lussureggiante natura. Lo è anche per il carattere battagliero dei suoi abitanti. È unica e irripetibile, anche e soprattutto per le sue controverse dinamiche storiche, per la sua trasformazione sociale, economica, politica e culturale. È unica, addirittura, per l’intermittente e singolare presenza delle organizzazioni mafiose sul suo suolo scaldato dal sole e ombreggiato dalla Sierra Maestra. Incrociare questi due aspetti, presenza criminale ed evoluzione di un modello socio-economico che non conosce eguali al mondo, potrebbe rivelarsi un esercizio ricco di interesse e di sorprese.
Partiamo da un presupposto: l’intero continente sudamericano costituisce la zona più calda per il traffico di droga, e la mafia, in particolare quella calabrese, ha, oggi, in questo scorcio di mondo, i suoi feudi più importanti: Colombia, Ecuador, Paraguay, Cile, Uruguay, Bolivia, Antille Olandesi, Perù, Brasile e Argentina. Aggiungiamo un secondo presupposto: a Cuba, oggi, le ‘ndrine non dispongono di filiali né di plenipotenziari. Almeno non ufficialmente. Eppure, storicamente, si hanno delle tracce importanti di calabresi dal doppio battesimo che hanno messo piede e lupara sull’Isola, anche se, inizialmente e per lungo tempo, dipendenti e subordinati alla potente mafia siculo-americana. Frank Costello e Albert Anastasia, entrambi mafiosi ed entrambi di origine calabrese, ad esempio, erano molto temuti negli States, e furono proprio loro, i primi boss dal sangue calabro a mettere piede sull’isola caraibica. Lo fecero in grande stile, nel migliore dei modi, prendendo parte al famoso summit di mafia che si tenne presso l’hotel Nacional, a L’Havana, capitale cubana, nel giugno del 1946 e che venne raccontato magistralmente nel film capolavoro di Coppola, Il Padrino.
A quel vertice, presieduto dal superboss Lucky Luciano, che ai tempi coltivava amicali rapporti con il dittatore Batista e il suo establishment governativo, presero parte anche Joe Adonis, Tom Lucchese, Willie Moretti, Toni Accardi, i fratelli Fiaschetti (parenti di Al Capone) e Santo Trafficante, potentissimo capomafia della Florida, oltre a Giuseppe Bonanno e Vito Genovese. Durante quel summit, venne definita la divisione de L’Havana in zone per il gioco d’azzardo e per gli altri vizi delle famiglie di mala italo-americane. Compreso il traffico di droga che in quegli anni iniziava a muovere i primi passi nel commercio internazionale, e l’Isola era ormai diventata uno dei principali mercati e il luogo di transito preferito verso gli Stati Uniti. In quell’occasione, i capi-mafia decisero di investire enormi capitali in quella meravigliosa isola, e decisero di farlo nel settore turistico. Tanto a L’Havana quanto a Varadero si iniziarono a costruire nuovi hotels, tutti con i rispettivi casinò e sale da gioco. Tutti luoghi ideali dove soddisfare gli stravizi degli esigenti americani: sesso, droga, alcool, gioco d’azzardo. Poi, qualcosa cambiò, irrimediabilmente. Era il 1 gennaio del 1959 quando i barbudos guidati da Ernesto Che Guevara e Camilo Cienfuegos entrarono vittoriosi a L’Havana con Fidel Castro che nel frattempo espugnava Santiago de Cuba, costringendo il colluso dittatore Fulgencio Batista a riparare a Santo Domingo, nella Repubblica Domenicana. Con il trionfo della Rivoluzione, oltre a tutti i risvolti politico-diplomatici che ne seguirono, vennero anche sradicate tutte le distorsioni sociali generate dal regime: prostituzione, traffico di droga, latifondismo e il gioco d’azzardo. Furono espulsi anche tutti i mafiosi e i loro beni nazionalizzati. Non deve quindi stupire che la Cia abbia cercato, più volte, la cooperazione della specializzata manodopera mafiosa per organizzare gli attentati ai fratelli Castro e a Che Guevara. Con l’arrivo dei ribelli al governo, crollò, però, anche il nascituro settore turistico. A causa delle restrizioni imposte dal governo di Washington, il turismo per anni si azzerò completamente. Ma non fu un dramma irreparabile. La produzione della canna da zucchero e il sostegno politico-commerciale di Mosca, alla quale Cuba si era allineata, permisero al direttivo comunista di far ripartire il paese. Poi tutto mutò di nuovo. Ancora. Era il 1989 e il crollo sovietico, colpì, come un domino, anche la fragile economia isolana. Iniziò la crisi. Período Especial lo chiamarono i cubani. In questa fase, il turismo e l’apertura a nuovi capitali stranieri appariva l’unica soluzione. La scelta si rivelò profetica: nonostante i primi complicati momenti, in pochi anni il settore turistico divenne il traino dell’economia nazionale. Ma senza non pochi effetti collaterali. Da quando la nazione si è aperta ai flussi turistici internazionali e, di conseguenza, agli investimenti stranieri e, quindi, a politiche di embrionale stampo neo-liberista, è innanzitutto riapparsa con prepotenza la prostituzione, lo jineterismo, come lo chiamano i cubani. Ufficialmente condannata dal regime, il mestiere più antico del mondo viene di fatto tollerato dalle autorità, visto che costituisce una delle principali voci dell’economia nazionale e fonte di sostentamento per migliaia di famiglie, perché è proprio in quell’elementare commercio che si alza il livello della ricchezza pro capite. Ma soprattutto l’utilizzo e il commercio di sostante stupefacenti, prima inesistenti, hanno iniziato a registrare una crescita considerevole.
Ed è questo il passaggio fondamentale della nostra analisi, perché dove c’è polverina bianca ci sono soldi e dove ci sono soldi, presto o tardi, arrivano anche loro, i pungiuti di Calabria. Procediamo con ordine. Nel 1989, quattro funzionari cubani, tra cui il rispettato e osannato generale Arnaldo Ochoa, vennero giustiziati perché accusati di essere in contatto e in affari con il narco-cartello colombiano di Pablo Escobar. I servizi di controspionaggio parlarono di contrabbando di 6 tonnellate di cocaina tra Colombia e Stati Uniti, per un totale di 3,5 milioni di dollari. Poco meno di dieci anni dopo, nel 1998 fu intercettata una spedizione di 7,2 tonnellate di coca diretta a Cuba, facendo immaginare che la via fosse stata già percorsa da altri ingenti carichi. Secondo le fonti ufficiali del governo cubano, nel solo 2011 sono state sequestrate nove tonnellate di sostanze stupefacenti, tre in più rispetto all’anno precedente. Ovviamente, con l’aumento degli affari, i narco-cartelli vengono spinti a trovare nuove rotte e a forzare con tutti i mezzi gli ostacoli che Cuba pone tra la Colombia e il più grande consumatore mondiale di cocaina, gli Stati Uniti, dove la ‘ndrangheta ha scavallato ampiamente Cosa Nostra, tanto da essere inserita nella black list dell’Fbi, come una delle 75 organizzazioni criminali dedite al narcotraffico. A ciò si aggiunga che gli alti livelli di coesione sociale, garantiti dall’impalcatura istituzionale di tipo socialista, iniziano a calare a causa della penetrazione di questi mali tipici delle società capitaliste. Il reinserimento dell’economia cubana nei mercati internazionali, dove prevalgono le regole della globalizzazione neoliberale, ha infatti innescato una ristrutturazione economica, che privilegia attività e spazi produttivi che garantiscono maggiori possibilità di rispondere efficacemente alle esigenze del mercato.
Ciò ha generato un processo di eterogenizzazione degli attori e delle società locali, differenziazione inter-territoriale, moltiplicazione dei rapporti tra il locale e il globale, alterando di conseguenza i tratti della struttura socio-territoriale e il suo ruolo nella riproduzione delle relazioni sociali. Ora il quadro è completo: prostituzione, disgregazione sociale, neo-liberismo e potenzialità enormi per il narco-traffico. In altre parole Cuba potrebbe divenire nei prossimi anni un gigantesco affare per gli affamati broker delle ‘ndrine calabresi. Certo Castro non è Batista, ma certo è anche che le ‘ndrine calabresi sono altra cosa rispetto alla vecchia mafia siculo-newyorkese di Lucky Luciano, visto che per la Casa Bianca figura al quarto posto tra le organizzazioni mondiali più pericolose, dopo Al Qaeda, il Pkk e i narcos messicani. Proprio con questi ultimi, che controllano ormai l’intera fornitura di cocaina negli Stati Uniti, gli ‘ndranghetisti sono in affari e in combutta per estendere i loro loschi progetti di dominio criminale. Cuba compresa.