• “Noi sindaci, abbandonati”. Il primo cittadino di San Gregorio d’Ippona lancia l’allarme. “Che fine ha fatto il progetto regionale di accorpamento dei servizi locali?”
    20/11/2012 | Michele Pannia, sindaco di San Gregorio d'Ippona | Edicola di Pinuccio

    michele pannia

    MENTRE LA POLITICA è impegnata nel replicare se stessa attuando un operazione di clonazione degna dei migliori laboratori di genetica, i cittadini continuano ad annaspare nel mare di difficoltà quotidiane. L’operazione sarà tanto più difficile quanto ardua poiché il suo successo si poggia esclusivamente sul prelievo di Dna proveniente da un corpo (quello politico) ormai in piena decomposizione. La corsa ai distinguo di chi, in passato, non avendo potuto sopire le proprie velleità coglie il momento propizio per ritagliarsi finalmente un posticino nel Gotha politico di cartone che sta per profilarsi, non eviterà, suo malgrado, la polverizzazione del sistema ormai inesorabilmente in atto. E’ di questi giorni il riconoscimento della cittadinanza onoraria di Ionadi al presidente della provincia di Catanzaro Wanda Ferro la presenza di politici che a prescindere dal simbolo politico di appartenenza hanno riconosciuto le motivazioni di tale gesto la dice lunga sul principio che in una situazione di completa vaporizzazione della politica l’unico punto di riferimento che rimane è la qualità etica dell’individuo.

     

    Noi sindaci, espressione più alta della nostra democrazia, abbandonati dal sistema e imbrigliati in un meccanismo istituzionale ormai in seria difficoltà attuativa, operiamo sempre più in contesti territoriali svuotati ed inariditi di quelli che sono gli elementi essenziali necessari per un sostenibile rilancio economico e sociale. La nostra miopia, sintomatica di un atteggiamento distratto e perdonatemi banale, convinti di poter avere esaudito il mandato sindacale solo ed esclusivamente con la rappresentanza territoriale, ci porta ad ignorare quelle che sono le dinamiche che innescano le problematiche, comuni a tutti i territori. Che fine ha fatto e che efficacia ha avuto il progetto che doveva incentivare l’accorpamento dei servizi e delle funzioni messo in campo dalla Regione con fondi europei? L’accorpamento dei servizi è uno dei tanti tasselli fondamentali che andrà a comporre quel mosaico costituito da quelle che sono la condivisione delle problematiche comuni superabili solo ed esclusivamente con un processo sinergico condiviso tra territori attigui. Nel migliore dei casi si continuerà a corteggiare la propria referenza politica nella speranza, ormai sempre più vana, che si possa portare a casa qualche banale finanziamento per poi ostentarlo nelle sedi opportune ma di una seria progettazione territoriale l’unica che potrebbe cambiare le sorti dei nostri territori nessuno ne parla in modo concreto.

     

    Questo modo “pecoreccio” di gestire la politica in ogni ordine e grado non rende giustizia a quei sindaci che con abnegazione e sacrificio affrontano quotidianamente le enormi difficoltà a gestire la cosa pubblica su territori abbandonati da chi, pur percependo un indennità di carica non certo proporzionata alle responsabilità ricoperte, invece doveva costituire un punto di riferimento per la soluzione delle problematiche territoriali di appartenenza. Dinamiche di un processo politico involutivo che la mala politica, l’intrallazzo e lo sperpero di denaro pubblico hanno generato. I fenomeni di corruzione negli Enti pubblici non hanno mai subito una severa sanzione. Le amministrazioni sono state sempre concepite come la cassa comune di clientele e non il posto dove attuare soluzioni ai problemi della comunità. L’Ente è il trofeo da conquistare per poi spartirlo tra pochi intimi. La conseguenza di questo modo di intendere la politica ha partorito un’accozzaglia di arricchiti nell’ambito delle diverse organizzazioni partitiche che nulla hanno a che fare con i veri valori della politica. E’ il momento di purgare il sistema attraverso un processo enzimatico volto a recuperare e rigenerare, se ancora possibile, quei valori etici importanti di cui la politica deve essere portatrice sana. Ricurvare la linearità del processo involutivo in atto diventa così una necessità. Ma con quali risorse umane ed economiche? E soprattutto con quale modello organizzativo?

     

    La deriva economico finanziaria dell’apparato pubblico nasce da come la politica ha inteso negli anni, con aberrante distorsione, utilizzare il modello statale per creare prebende e consenso partitico perdendo di vista l’attuazione di quello che doveva essere il nobile obiettivo finale: il bene comune. Oggi si parla delle tre famose “E”: economicità, efficienza ed efficacia dell’azione politica nella pubblica amministrazione. Ma non basta! Pochi parlano dell’azione congiunta da affiancare anche a costo di scelte impopolari: la riorganizzazione dei servizi offerti e dell’apparato pubblico rimodulando quello che per la politica ha sempre rappresentato un tabù: le risorse umane finora impiegate. E’ di palmare evidenza che l’impiego e l’organizzazione delle risorse umane nell’apparato statale rimane il nodo cruciale del riscatto del pubblico sul privato in un momento particolare come questo che stiamo attraversando. I piccoli comuni ultimo baluardo dello stato sul territorio devono essere incentivati dal punto di vista economico e progettuale nell’attuare questa rinascita riorganizzativa tesa all’accorpamento territoriale. Ma all’orizzonte non si intravede nulla di tutto questo. Gli enti sovracomunali investiti pesantemente da vicende giudiziarie e pastoie politiche sono concentrati su come far passare a “Nuttata”.

     

    Il vuoto della credibilità della politica ha assunto livelli che definirli preoccupanti diventa un eufemismo. Territori abbandonati ormai a politici espressioni solo di loro stessi. La conseguenza è che i cittadini percepiscono un’ immagine della politica disperata al culmine di un processo involutivo che dura ormai da anni. In un contesto in cui le politiche rivolte agli enti locali continuano ad essere assenti e la dove sono state avviate iniziative in tale senso il risultato è stato un assoluto disastro. Vi è una profonda scollatura tra l’esecutivo centrale e quelli che che sono i reali problemi nell’amministrare i contesti territoriali. Stiamo attraversando una crisi drammatica utilizzando procedure amministrative che impantanano il territorio nella palude burocratica. Inutile nascondere che le province , salvo qualche lodevole eccezione, sono strutture create per foraggiare clientele e consenso politico. Oggi rivedere il concetto di federalismo, a suo tempo avviato per puro calcolo politico, è un passo obbligato. Bisogna piuttosto puntare sulla sussidarietà privando le regioni di quel centralismo ancora più deleterio di quello nazionale.

     

    Necessita rafforzare i comuni affidando più deleghe in nome di quella maggiore efficienza che il centralismo degli enti sovracomunali non ha saputo negli anni svincolare dalla palude burocratica in cui siamo finiti. Ma tutto questo passa in secondo piano in un momento in cui diventa invece indispensabile, per i partiti, attuare un operazione di riciclo politico che assume ormai dimensioni tali che se attuato con la stessa intensità a quello dei rifiuti ci consentirebbe di risalire velocemente ai primi posti nella graduatoria delle nazioni più virtuose.