ROSARNO – E’ davvero degno di ammirazione lo sforzo di arrampicarsi sugli specchi, compiuto dalla Soprintendente ai Beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi, per tentare di giustificare l’operato dell’ente da lei diretto, riguardo alla tutela e conservazione del Parco archeologico di Medma, relativamente alla parte di proprietà statale (circa 6,5 ettari): un’area, che per sua stessa ammissione, è stata devastata nel tempo da atti vandalici e incendi dolosi, l’ultimo dei quali (agosto 2012) “ha dato il colpo di grazia ad un’area da tempo straziata dai vandali”. In una nota postata sera del 16 ottobre 2013 sul blog della sindaca Elisabetta Tripodi, la Soprintendente Bonomi si preoccupa di respingere l’accusa formulata da più parti (finanche attraverso un’interrogazione parlamentare della deputata calabrese di M5S Dalila Nesci) che l’attuale condizione di assoluto degrado in cui si trova questa parte del Parco è da imputare a incuria e negligenza di chi aveva ed ha per legge la responsabilità della sua tutela.
Sta di fatto che, al di là di ogni giustificazione possibile, la parte del Parco di cui ha responsabilità diretta la Soprintendenza, da ubertoso terreno coltivato a magnifici secolari ulivi, a profumati aranci e limoni, si trova ridotta ad una squallida landa desertica, con un danno inestimabile per la collettività rosarnese che si vede depauperata di un patrimonio di incalcolabile valore. Come anche gli scavi effettuati dal prof. Paoletti, per conto della stessa Soprintendenza, nell’estate 2005, risultano quasi del tutto cancellati, a causa dell’abbandono in cui sono stati lasciati (basta fare una visita sui luoghi per rendersene conto!), nonostante la Soprintendente Bonomi scriva che essi sono stati “oggetto di restauro mediante l’utilizzo di un finanziamento ministeriale” (soldi buttati alle ortiche!). Se queste sono le risultanze dell’opera di tutela, bisogna avere il coraggio di ammettere che essa si è rivelata del tutto disastrosa e fallimentare, diametralmente opposta all’opera infaticabile di valorizzazione e divulgazione portata avanti, anche con notevoli sacrifici economici, dagli studiosi locali attraverso indagini e pubblicazioni di tutto rispetto.
E’ doveroso pertanto chiedersi: A cosa è servito il sofisticato e costosissimo impianto di videosorveglianza, che peraltro non funziona? A cosa serve la moderna recinzione, se un cancello posto nella zona orientale viene lasciato aperto a disposizione di chiunque voglia accedere nel Parco, sia di giorno che di notte? Se non ha funzionato – poiché i risultati sono sotto gli occhi di tutti – il rapporto “privilegiato” che la Soprintendenza dice di avere intessuto in questi anni con il Comune di Rosarno, per quale motivo è stata affidata la gestione della parte di Parco di proprietà statale al Comune, che in questi ultimi anni, con l’amministrazione Tripodi, non ne ha certamente impedito il saccheggio? E perché è stata frettolosamente cassata la proposta avanzata dall’Istituto Professionale per l’Agricoltura (annesso al Liceo “Piria”), proprietario degli altri 6,5 “meravigliosi” ettari di Parco, di prendersi in carico anche la parte statale per trasformarla in orto botanico di altissimo livello? E poi, per quanto riguarda il Museo di Medma, alloggiato presso l’Auditorium comunale di Via Umberto I, è dal 2002 che è stato chiuso, a causa dei lavori di ristrutturazione dello stesso. Nel 2004 i lavori sono stati conclusi, ma i reperti e le vetrine dentro cui erano contenuti non hanno fatto ritorno nello stesso sito, in quanto stavano per essere allestiti i locali per il nuovo Museo (nell’ex casa del custode dell’Istituto Agrario, dentro il Parco). I lavori furono terminati nel 2005, la palazzina è stata messa a disposizione della Soprintendenza, che vi aprì l’ufficio periferico, ma né le vetrine, né i reperti di Medma vi trovarono collocazione.
E’ lecito chiedersi: che fine hanno fatto quelle vetrine? Dove sono state dirottate? Perché la cittadinanza, con i giovani in testa, non hanno potuto godere dei benefici dati dalla presenza nel proprio territorio delle testimonianze dell’arte medmea, ammirate nei maggiori musei del mondo? E, infine, chi ha consentito che il primitivo stanziamento di 3.600.000 assegnato nel 2004 dal Ministero dell’Economia alla Provincia di Reggio Calabria (su iniziativa dell’amministrazione Saccomanno) per il finanziamento del progetto “Parco archeologico di Medma”, venisse progressivamente ridotto a poco più di 1 milione di euro? Verso quali altre aree archeologiche sono stati dirottati i 2/3 del finanziamento, originariamente stanziato per l’area medmea? Sono tutte domande, per le quali dalla dott. Bonomi non possono pervenire risposte convincenti, essendo un dato di fatto incontrovertibile che, alla base del disastro compiuto a Rosarno, vi è la diretta responsabilità di tutti coloro che, avendo in custodia un patrimonio di inestimabile valore, avrebbero dovuto tutelarlo e non sono stati in grado di impedirne il degrado e il saccheggio. Un dato è certo. Non staremo passivi ad assistere allo scempio. I responsabili saranno chiamati a rispondere delle condotte omissive poste in essere e della manifesta incapacità a custodire e tutelare un bene così rilevante. In difesa dei sacrosanti diritti dei cittadini di Rosarno, stiamo attivando le procedure per un’azione in sede penale e civile nei confronti di tutti i soggetti pubblici e privati ritenuti responsabili dei gravissimi incalcolabili danni arrecati alla comunità rosarnese.