• Quei “soli” interessi di bottega delle banche che non fanno il bene del sistema-Paese
    18/05/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    AI POVERI CORRENTISTI neanche il tempo di gioire che il repentino dietrofront del Governo sullo stop alle commissioni bancarie ha spento, per così dire (e se mai ci fossero stati), sul nascere gli entusiasmi di poter, in qualche modo, beneficiare di un provvedimento compensativo elaborato e sbandierato come un vessillo a favore dei consumatori. Verrebbe da dire che chi per decreto colpisce di decreto perisce. Perché è proprio per decreto che la banche hanno (ri)ottenuto ciò di cui non volevano assolutamente privarsi. Il contentino riguarda le commissioni che non verranno applicate solo per sconfinamenti delle famiglie per saldi pari o inferiori a 500 euro e per un massimo di 7 giorni per ciascun trimestre bancario. Verrebbe da pensare che con questo provvedimento approvato sulla fiducia, il Governo sul tema, in qualche modo, abbia un po’ sconfessato se stesso.

    E’ risultata evidente la forte ritrosia sulla questione da parte dell’Abi per bocca del Presidente Mussari prontamente manifestata il giorno dopo l’annuncio in decreto. Tant’è. Lo straccio delle vesti ha evidentemente irritato il mondo finanziario che non sazio della razzia di miliardi di € arraffati quasi a gratis dalla Bcee non impiegati a far ripartire, come sperato, l’economia reale di imprese e famiglie, intendendo questo tentativo come un sopruso avallato dalla legge. Ma gli stessi ambienti nulla profferiscono in merito alla non proprio brillante gestione che molti dei nostri istituti di credito attuano esponendosi paradossalmente non solo ai downgrade delle agenzie di rating, come avvenuto recentemente per ben 26 banche italiane tra cui le nostre maggiori, ma anche e soprattutto al rischio della speculazione internazionale vedendosi indebolire le difese immunitarie della solidità strutturale attraverso un inevitabile aumento delle sofferenze innescate dalla mancata concessione di credito a favore del riequilibrio finanziario da parte delle imprese che non avendo “carburante” o esauriscono la corsa, e questo molto spesso significa imboccare la strada del fallimento, oppure rallentano e di parecchio la loro capacità produttiva e di innovazione che potrebbe, come rileva il Censis, fargli mancare l’appuntamento con i mercati esteri, dei paesi ad economia crescente quali ad esempio Brasile, Cina, Sud Africa, che in questa fase stanno rappresentando le mete su cui puntare per le imprese italiane, attraverso l’incentivazione dell’export di qualità dandoci, come stanno facendo, una grossa mano, facendo lievitare le esportazioni italiane che (fonte Istat) indica come a marzo sono aumentate dell’1,7% rispetto al mese precedente, mentre le importazioni sono scese dell’1,9%., aggiungendo che su base annua le esportazioni sono cresciute del 4,9% e le importazioni sono diminuite del 10,9%, proponendo un saldo commerciale risultante in attivo pari a 2,1 miliardi di euro (valore più elevato da luglio 2009) e nel primo trimestre, infine, le esportazioni hanno registrato una crescita congiunturale dello 0,8%.

    Allora per invertire il trend generato, come constatato da Moody’s, dal ritorno dell´Italia in recessione e dalle misure (quasi inevitabili) di austerità decise dal Governo, le banche nostrane dovrebbero smetterla di guardare al dito e di pensare a mirar la luna, attraverso una concreta valorizzazione del tessuto produttivo italiano troppo spesso, per voraci interessi di bottega, abbandonato a se stesso.