TRA I RITI PASQUALI più affascinanti ricordo il mitico canto “Il monologo di Giuda” di Claudio Chieffo armonizzato in veste liturgica dal coro della parrocchia di San Michele Arcangelo di Cinquefrondi la sera del Giovedì Santo. Rileggendolo mi sono interrogato molto. Il ritornello recita: Non fu per i trenta denari, ma per la speranza che lui quel giorno, aveva suscitato in me. Non per soldi, ma per la delusione che le parole non diventino “de facto” fatti concreti e per la paura di rimanere illusi. Giuda si interroga su chi sia veramente l’uomo accanto a se, chi sia l’altro che narra e che si narra. Un uomo che non nasconde se stesso, ma mette a disposizione il suo tempo per dedicarlo agli altri. Come Gesù nel deserto prima di iniziare a predicare. Quanto tempo dedichiamo alle cose che ci piacciono davvero? Nella dimensione con altro ritroviamo noi stessi? I riti sono falsi miti?
Recita la Costituzione “ La sovranità appartiene al popolo” o, aggiungo, al pubblico? Il processo di passivizzazzione è dilagante; la diffidenza per l’altro è innegabile; molti come Giuda hanno perso le speranze nonostante gli importanti messaggi: “crescita rigore ed equità-lia”. Una lotta continua contro il tempo e contro l’angoscia che gli eventi cambino in modo repentino. Prosegue il canto: Io ero un uomo tranquillo, vivevo bene del mio, rendevo anche gli onori alla casa di Dio. Ma un giorno venne quest’uomo, parlò di pace e d’amore, diceva ch’era il Messia, il mio Salvatore. Giuda era un uomo senza troppe pretese, vita modesta, ogni tanto dava l’elemosina ai bisognosi per sentirsi forse meno sfigato e tutte le domeniche a messa come altri… Un giorno sente la chiamata e sente forse che per lui è il momento giusto di scendere in campo! Chissà se Giuda si fosse posto le domande giuste ora sarebbe il Traditore che tutti conosciamo! Abbiamo bisogno di profeti, ma che non si sostituiscano al nostro sentire, semmai forse accompagnarci in un cammino di consapevolezza. Non trovate?
Per terre arate dal sole, per strade d’ogni paese, ci soffocava la folla con le mani tese. Ma poi passavano i giorni e il regno suo non veniva, gli avevo dato ormai tutto e Lui mi tradiva. Sembra di sentire una coppia di partecipanti dei Grande Fratello. Lui si arrabbia perché riceve le giuste attenzioni? Ma come? Giuda passibile che ancora non hai capito niente? Oltre la semina c’è il raccolto… i frutti belli e brutti. Il vero successo di un messaggio educativo e la testimonianza nel tempo, non i miracoli specie se fatti a pochi perché i tanti credano. A questo punto mi domando se Giuda c’è o ci fa! Il Vangelo a prescindere dalla scissione religiosa è chiaro ed inequivocabile. Che concezione ha Giuda del tempo? Quali erano le sue aspettative? Aveva amato sul serio se stesso? Quanti dicono di amare per poi cadere nelle trappole delle aspettative disattese? Divenne il cuore di pietra e gli occhi scaltri a fuggire; m’aveva dato l’angoscia e doveva morire. Appeso all’albero un corpo, che non è certo più il mio, ora lo vedo negli occhi: è il figlio di Dio. Giuda non riesce a rispondere a nessuna delle sue domande tranne una: una sorta di V-day che segna l’inizio della fine, segna il momento in cui le scelte diventano determinanti e segnano l’inizio di una sequenza di fatti che lo portano inesorabilmente a capire quanto sia stato stupido.
Tradire un vero amico per questioni personali e pensare all’importanza di una visione di insiemi, non credere al valore di una comunità dando il giusto peso alle differenze e sopratutto non distinguere in modo chiaro cattivi o buone come “il povero Cristo”. Giuda affida l’amico al nemico, ma ormai è follia pura! Giuda s’impicca o rimane ‘mpiccato? Quanto ritroviamo noi stessi nelle fragilità del quotidiano? Ci sono infine quelli che puntano il dito, i fedelissimi, quelli come il caso di Simon Pietro che dichiarano la loro fedeltà per poi sotto sotto rinnegarla. Saranno sempre fragilità? Il punto è tra Giuda e Pietro, tra Cristo e Pietro o tra Cristo e Giuda ed il “noi” in tutto questo dove si colloca?