ROSARNO – La stagione delle arance si avvia nel peggiore dei modi. Come ogni anno degli ultimi venti, i braccianti rientrano nella Piana, si sistemano come possono, accettano le condizioni schiavistiche imposte dal mercato e, ogni tanto, si ribellano. Arrivano anche quest’anno, saranno un migliaio entro la fine del mese, quasi tutti dell’Africa subsahariana. Le premesse non sono buone: l’allarmismo e il sensazionalismo che si registra negli ultimi giorni è quanto mai inopportuno per almeno tre ragioni. La prima: parlare ancora di emergenza, nel bene o nel male, è stucchevole. Le condizioni di vita e di lavoro dei migranti sono note all’opinione pubblica, sono state registrate, documentate e analizzate nei dossier “Arance insanguinate” e “Radici/Rosarno – monitoraggio autunno-inverno 2010-11”. Nonostante gli sforzi e l’impegno di un’amministrazione comunale sensibile al tema, i nodi strutturali non sono stati affrontati. I progetti e gli impegni di spesa a medio-lungo periodo sono mal calibrati: riguarderanno solo la sfera “regolare” dell’immigrazione, che è gioco-forza per larga parte una “zona grigia” fatta di richiedenti asilo, diniegati in attesa di ricorso, inespellibili, stranieri col permesso di soggiorno per motivi umanitari in scadenza ecc.
Nei dossier citati si affronta la questione al di là della logica emergenziale, proponendo soluzioni e modelli di azione (ad esempio la mediazione abitativa sperimentata a Drosi e gli affitti calmierati) attuabili da subito. Purtroppo la concertazione avviata in Prefettura la scorsa primavera s’è interrotta senza motivi apparenti. Il cerino è rimasto in mano ai sindaci. I proclami della Regione Calabria sull’accoglienza sembra siano destinati a restare tali (campi di accoglienza in tutta la Piana). Lo diciamo subito: la logica emergenziale dei campi non ci piace, altre solo le soluzioni efficaci. Ma il punto è un altro: su una questione delicata come quella dei migranti occorrono chiarezza e coerenza, programmazione e continuità. Si intraprenda una strada con chiarezza, la si segua con determinazione e coerenza, e i risultati saranno giudicati con onestà intellettuale. Invece, sembra che le polemiche siano strumentalmente pilotate a colpire un sindaco coraggioso come Elisabetta Tripodi. Ultima notazione: lo stesso metro non è adoperato per l’assessore provinciale con delega all’immigrazione, il controverso Gaetano Rao, al momento silente e assente, in un ruolo quanto meno inopportuno. La seconda ragione riguarda la sfera culturale e quella civile. La rivolta di Rosarno rappresenta uno strappo, in parte sanato con la storica manifestazione del 7 gennaio 2011. Lo ricordiamo con orgoglio: i migranti sono scesi in piazza, hanno scioperato per i propri diritti ma anche per il rilancio dell’agricoltura della Piana. Insieme e non contro i cittadini rosarnesi. È questo un fatto che bisogna tenere a mente: i migranti hanno riposto nuovamente fiducia nelle istituzioni, hanno continuato a dare lezioni di civiltà a tutti denunciando, come tutti dovremmo fare e non facciamo, truffe, minacce e violenze.
Tradire questa fiducia, creare nuovamente un clima d’odio, non rispettare la fragile convivenza civile che pur si è creata, ostentare ostilità fino alla prossima rivolta vuol dire non aver appreso la lezione e condannare l’intero territorio, bianchi e neri, a una nuova stagione all’inferno. E invece noi vogliamo città variopinte – e per questo i migranti di Rosarno e Drosi hanno partecipato alle ultime due edizioni della Corrireggio di Legambiente e a molte altre iniziative di sensibilizzazione – e città accoglienti, come ha saputo esserlo Rosarno in occasione della Festa dei Popoli del 6 gennaio scorso e lo scorso settembre nell’area archeologica con “Puliamo il mondo”. Terza ragione quella economica. La vertenza per il diritto di soggiorno dei migranti lanciata all’indomani della rivolta – una vertenza che dopo aver ottenuto risultati eccezionali sconta una battuta d’arresto con le fibrillazioni politiche nazionali e la caduta del governo – ha posto con forza una questione: solo il riconoscimento dei sacrosanti diritti dei migranti può garantire la manodopera regolare necessaria al rilancio dell’agricoltura della Piana. Anche in questo caso, però, quel che serve è un piano generale. Bisogna osare: abbandonare le monoculture, smetterla con la mentalità parassitaria se non truffaldina, produrre per il mercato locale, creare marchi di qualità e investire sul turismo rurale come si è fatto altrove. E invece, tranne alcune proposte interessanti come quella della Coldiretti sui succhi d’arancia, s’assiste alla consueta e penosa questua della categoria, che battono cassa alle prime piogge ma non spendono un euro per rifondare l’agricoltura. Per concludere, le rivendicazioni dei migranti e le aspirazioni dei territori che li accolgono si legano indissolubilmente. Il compito di soddisfarle non può essere relegato all’intervento degli enti locali, ma presuppone un impegno politico generale. Per affrontare un problema complesso servono sinergie, ma serve soprattutto mettere al centro degli interventi le condizioni reali dei lavoratori migranti, le loro esigenze e le loro, mai pretestuose, aspettative personali e collettive. Occorre tenere alta la tensione nel giusto modo, mettendo al bando sensazionalismo e allarmismo. È per questo che negli ultimi anni abbiamo svolto le campagne di monitoraggio nella Piana e le iniziative di sensibilizzazione in giro per l’Italia. Proveremo a farlo anche quest’anno.