CITTANOVA – Il liceo classico da sempre ha adempiuto una funzione essenziale, rappresentando un modello culturale e pedagogico in grado di valorizzare, talvolta addirittura creandole o ri-creandole, la storia e la tradizione nazionali e traendo da esse un sistema di valori e uno stile di vita, un modo di stare nel mondo coltivando la vocazione alla critica piuttosto che appiattendosi sull’esistente. Si spiega così che i prodromi della contestazione si siano avuti, in Italia, giusto in un liceo classico – il Parini di Milano – e quasi tutti gli esponenti di essa più in vista nel mitico ’68 avessero frequentato o stessero frequentando il liceo classico.
A questi indubbi meriti non poteva però non corrispondere un limite intrinseco e in gran parte inevitabile, la strutturale vocazione elitaria, che in tempi di governi dominati da una concezione mercatistica della scuola non può non risultare penalizzante. La cosiddetta autonomia degli istituti si basa infatti sui numeri: la conservano solo quelli che superano le 600 unità. E poiché un tale score è fuori della portata dei licei classici – specie in realtà di provincia – ne diviene giocoforza la caduta, con l’accorpamento, nell’orbita di un’altra istituzione scolastica, con altre caratteristiche, altra storia, altre prospettive di crescita.
Il vecchio “classico” sembra così destinato a una morte per (in)naturale estinzione, a meno che non si decida, a livello nazionale e locale, di contemplare un’eccezione alla regola dei numeri, nella consapevolezza che scuola e cultura non sono sempre riducibili a numeri e non possono essere governate con criteri di pura ragioneria. In particolare, la questione della sopravvivenza del liceo classico andrebbe inquadrata a partire da due dati di fatto imprescindibili e dalla loro reciproca incompatibilità. Il primo è la necessità di far sopravvivere un’istituzione che nel Novecento ha rappresentato un elemento importante della nostra stessa identità nazionale; il secondo è che tale sopravvivenza non può ottenersi “spontaneamente”, affidandosi allo sviluppo, con il marketing, della capacità di attrarre “utenti”.
E’ inutile girarci intorno: una scuola che propone nel proprio curriculum lo studio delle cosiddette lingue morte non potrà esercitare un grande appeal su ragazzini di terza media già formati da un senso comune e da una sottocultura dominati dall’idea della superfluità delle litterae. Delle quali non resta altro che cercare di garantire la trasmissione a quei pochi che saranno riusciti a sottrarsi alla presa dello spirito dei tempi, come poi in fondo è quasi sempre stato. Non resta, a conclusione di queste note, che fare gli auguri al “Gerace” di Cittanova per il compimento dei suoi primi settant’anni, nella speranza che i secondi siano forieri degli stessi successi.