LA NORMA di prossima attuazione che prevede il tetto agli stipendi della managerialità pubblica alla soglia dei 294.000,00 € pare finalmente si sia incontrata col buonsenso e con la ovvietà di far, soprattutto di questi tempi, necessità virtù. Non sfuggirà ai più che una delle più grosse falle nel sistema retributivo pubblico italiano sia costituita dalla sfuggevole molteplicità di incarichi, doppi, tripli e fiduciari che nelle mille società pubbliche o miste pubbliche private, rappresentano le prebende con le quali fungere da unguento balsamico alla più vicina sistemazione di amici e sodali, ed il conferimento spesso ricevuto più per le importanti amicizie intrattenute che per i meriti professionali sfocia in un vero e proprio mercato incontrollato ed incontrollabile. Salvo verificare poi che l’operato di questo o quel professionista, spesso sia stato di dubbia utilità ed efficacia. Addirittura, in barba alla meritocrazia, si è arrivati ad elargire premi e benefits a pubblici incaricati, anche quando l’obiettivo è stato largamente mancato e la gestione loro affidata è risultata del tutto fallimentare, ed anzi si sia rivelato spessissimo necessario l’intervento pubblico per ripianare i buchi lasciati da questi famigerati manager papponi. Di casi da citare ce ne sarebbero in letteratura una infinità; ci limitiamo a citare quelli a noi più vicini quali la gestione dello scalo dell’aeroporto reggino Tito Minniti da parte di alcuni vertici più politici che manageriali della SoGas oppure alla società Stretto di Messina che hanno, con grande puntualità prodotto una quantità considerevole di parcelle. Ma di cosa si tratterebbe? In sintesi il provvedimento si basa su due principi: il trattamento economico complessivo del primo Presidente della Corte di Cassazione diventa il parametro di riferimento per tutti i manager delle pubbliche amministrazioni ed in nessun caso l’ammontare complessivo delle somme loro erogate da pubbliche amministrazioni potrà superare questo limite; per i dipendenti collocati fuori ruolo o in aspettativa retribuita, presso altre pubbliche amministrazioni, la retribuzione per l’incarico non potrà superare il 25% del loro trattamento economico fondamentale. Un atto di civiltà amministrativa, anche perché le risorse economiche risparmiate grazie all’attivazione del decreto serviranno a incrementare il fondo di ammortamento dei titoli di stato e, quindi, a ridurre il debito pubblico. Chi di certo non farà salti di gioia per la notizia saranno ovviamente gli interessati, i circa 700.000 destinatari che in alcuni casi si vedrebbero decurtare lo stipendio con tagli che dovrebbero oscillare dal 25 fino al 70%. Ma tantè. D’altronde in questa fase storica che stiamo vivendo, attraversata da una crisi stringente che non consente follie, l’esercito purtroppo sempre fitto di tantissimi giovani, precari e meritevoli, uno sforzo simile lo farebbero ben volentieri pur di dare un calcio alla monotonia e preservarsi un (piccolo) posto (fisso) di lavoro per rasserenare se stessi ed il proprio futuro. Giuseppe Campisi.
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Sì al tetto sulle retribuzioni pubbliche. Sarà l’inizio della meritocrazia?21/02/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio