COME NON BASTASSE IL DILEMMA Grecia, l’Europa si prepara a (con)vivere con un’altra grana. Si tratterebbe della bolla immobiliare spagnola frutto delle vicende speculative sulla crescita promosse dalla politica dell’ex premier Aznar che potrebbe dare il colpo ferale ad ogni velleità europeista della moneta unica. La Spagna infatti stà addentrandosi in una decisa fibrillazione finanziaria a causa del crollo del valore degli immobili che le banche detengono a garanzia di mutui e prestiti precedentemente allegramente concessi e che si stanno svalutando a motivo della stagnazione economia in atto a fronte della recessione che imperversa quale conseguenza dell’alto tasso di disoccupazione complessiva oggi presente che sfiora il 25%, e giovanile addirittura il 40%. A lanciare l’allarme è l’ Institute of International Finance (Iif) che rimarca come il sistema creditizio iberico potrebbe aver bisogno di aiuti pubblici fino a 60 miliardi di euro stante il fatto che le perdite che le banche spagnole potrebbero essere costrette a registrare per via dei crediti a rischio, soprattutto per la loro esposizione al mercato immobiliare, si potrebbero aggirare tra i 218 e i 260 miliardi di euro.
E buona parte di tali sofferenze potrebbero riversarsi sulle casse pubbliche, il cui intervento di tamponamento per l’eventuale risanamento di questo buco, aggraverebbe oltremodo la già delicata situazione dei conti pubblici. Non è un caso se ultimamente proprio la Spagna non riesca a collocare i propri “bonos”, i propri titoli pubblici, anche tentando di proporli ad un tasso ben più elevato di quello di paesi che possono avere le stesse caratteristiche e problematiche finanziarie (leggi Italia). E non è un caso che lo spread bonos/bund stia viaggiando da parecchio tempo in pericolosa oscillazione sulla soglia dei 500 p.b. (considerata dagli esperti vera zona rossa) ciò di per sé certificando che gli investitori non solo non si fidano, chiedendo una remunerazione più alta per esser disposti concedere liquidità (che danno malvolentieri), ma addirittura i mercati molto spesso diffidano, volgendo le spalle al debito pubblico spagnolo, opzionando altre scelte (quali quelle ad esempio di comprare titoli pubblici tedeschi remunerati allo 0,07%,, praticamente al nulla) meno privilegiate ma più sicure.
Anche se di vero c’è che, come sempre, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio perché se da una parte (come per l’Italia) è la BCE a farsi garante, acquistando provviste di massa dei titoli spagnoli per accordare liquidità alle casse iberiche, dall’altra la situazione non è uguale per tutte le banche del sistema spagnolo: alcune infatti (circa il 70%), recita sempre l’IIF, riportando uno stress test del FMI, saranno in grado di resistere, altre invece (il restante 30%) saranno costrette ad ottenere gli aiuti di stato per salvarsi potendo ricorrere addirittura alla nazionalizzazione (come avvenne negli USA o in Inghilterra). Ecco dunque come anche la Spagna si candidi a gran voce dar man forte al principio della ricerca della crescita, interna ed internazionale.Il che significa una ulteriore alleata per l’emarginazione della linea rigorista della Mekel ed una spinta oltranzista verso il disegno di sviluppo tracciato dall’asse Hollande-Monti-Obama in cui confida, evidentemente, non solo l’Europa. Poiché il rischio alternativo che si intravede fosco all’orizzonte è il mesto profilarsi dell’affossamento dell’euro, con un effetto domino assicurato.