FRANCESCO D’ASSISI, nato Giovanni di Pietro Bernardone, santo tra i più popolari della Chiesa Cattolica ma che fino a ora non aveva mai dato il nome a un Papa, è celebre per la sua scelta di abbandonare la casa e le ricchezze del padre per votarsi a Dio e alla Natura. Esponente della borghesia emergente della città umbra, Pietro Bernardone commerciava stoffe pregiate in tutto il territorio del Ducato di Spoleto e quando il figlio ebbe compiuto 14 anni lo introdusse al lavoro, affidandolo alla vendita e al commercio. È indubbio che l’uomo spingesse il figlio a percorrere la stessa strada che aveva assicurato a sé e alla sua famiglia ricchezza e benessere. Una strada che, tuttavia, stava incredibilmente stretta a colui che sarebbe diventato noto come “il poverello di Assisi”.
La famiglia è un tesoro ma anche un tranello. A sostenerlo è Alejandro Jodorowsky Prullansky (Tocopilla, 17 febbraio 1929), scrittore, drammaturgo, poeta, saggista, fumettista e cineasta cileno naturalizzato francese (Wikipedia). Tutto ciò che desideriamo, o crediamo di desiderare, così come tutto ciò che ci fa paura, lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, dai nostri nonni e dai genitori dei nostri nonni. È così che seguire le orme di un padre o arrabattarsi per attuare il destino di un lignaggio ci porta spesso a conseguire studi, specializzarci in ambiti di lavoro, sposare donne che non amiamo. E a ritrovarci vecchi a cinquant’anni, apparentemente “realizzati”, eppure così infelici. Quanti di noi, prima di abbandonarsi al sonno, indugiano nel buio della notte sulla presa di consapevolezza che “questa non era la vita che volevamo”? E quanti di noi allontanano la mente subito dopo, terrorizzati da una comprensione che metterebbe in dubbio metà della nostra vita, aggrappandosi a frasi rassicuranti come “non può essere così, ho sempre fatto ciò che ho desiderato”? Eppure il peso delle aspettative di una madre, pur silenziosamente, grava sulle nostre spalle, e influisce sulle nostre scelte come quello della sua su di lei.
Francesco di Assisi, in qualche modo profondo, ma probabilmente lento e doloroso, comprese che le catene confortevoli in cui il proprio lignaggio lo teneva intrappolato, potevano e dovevano essere spezzate, perché lui potesse finalmente fare ciò per cui sentiva di essere nato. Prima partì in guerra, come tutti i coetanei, e fu catturato e si ammalò prigioniero, liberato poi dietro il pagamento di una cauzione da parte del ricco padre. Tornò al lavoro presso la famiglia ma ripartì presto, cercando di arruolarsi come Crociato. Sulla strada per raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, tuttavia, si ammalò nuovamente. C’era qualcosa che, nel suo corpo, reagiva all’idea di usare la violenza contro gli altri esseri. In quegli anni, inoltre, Francesco sentiva crescere dentro di sé un intenso senso di compassione e amore incondizionato verso i deboli, i reietti, gli ammalati. E verso gli esseri indifesi del creato. Si sentì sempre più “un’unica cosa” con la natura, gli animali e gli altri uomini, il “fratello sole e la sorella luna”, legato a essi in connessione profonda.
Dopo aver scambiato le sue vesti costose con un povero e aver preso il suo posto davanti a San Pietro a Roma chiedendo l’elemosina, e aver nutrito, baciato e abbracciato un lebbroso, tornò ad Assisi e sottraendo molte delle stoffe pregiate dal negozio del padre le vendette a Foligno per darne il ricavato ai poveri. Fu l’episodio finale della sua “conversione” perché il padre, di fronte all’ennesimo “tradimento” da parte di quel figlio ribelle, decise di denunciarlo ai consoli non tanto per il danno insulso alle sue ricchezze quanto per la speranza che la minaccia di una punizione pubblica “rimettesse in riga” Francesco riportandolo all’ovile. Il santo di Assisi, di fronte a quell’ultimatum, si spogliò di tutti i suoi averi e, denudandosi, restituì persino i suoi vestiti al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”.
Molti ad Assisi, già solidali con quel padre che vedeva umiliate e tradite le proprie aspettative (a quel tempo i figli non erano che semplici appendici di una famiglia governata come un esercito, gerarchicamente strutturata), si sbigottirono di fronte a quel gesto. Un gesto così rivoluzionario, nel suo impeto di libertà assoluta e inedita, da riecheggiare nei secoli a venire pur sotto forma di racconto agiografico ben collocato nella mitologia cattolica. Il padre a cui si vota Francesco è indubbiamente il Dio dei Cristiani, ma nelle sue caratteristiche originali di universalità e libertà. Francesco ha lasciato la traccia apparentemente sicura segnata dal padre e dai suoi antenati per abbandonarsi al creato, a un Universo di possibilità che ci sono precluse finché rechiamo sulle spalle decenni di aspettative.
La povertà, concetto ribadito per tutto il nuovo testamento (“beati gli umili, beati i poveri”; ma anche: “negate voi stessi”), concerne sicuramente il rigetto delle ricchezze materiali ma è davvero liberatoria quando investe la personalità e quello che gli psicologi moderni chiamano “ego”. Francesco ha rinunciato alla propria identità precostituita, disegnata dal padre per lui e consegnatagli chiavi in mano, per costruire se stesso seguendo i dettami del cuore e dello spirito.
Per fare solo un esempio, immaginate lo studente fuori corso che per un decennio combatte con lo studio e gli esami universitari per una laurea a cui lo hanno indirizzato i propri famigliari mentre, segretamente, nutre l’aspirazione di divenire un artista, o partire volontario in Africa, o imparare un mestiere non necessariamente intellettuale, o ancora consegnarsi anima e corpo a una fede o agli altri… Immaginate il politico che ha militato tra le fila della destra (o della sinistra) per decenni, seguendo una tradizione famigliare, assecondando un sistema sempre più incomprensibile che di fronte al cambiamento o alla possibilità di esprimersi “contro” ciò che “ha creduto o pensato di credere” per tutto quel tempo, rinuncia per non uccidere “se stesso”… La Chiesa stessa, che per due millenni ha fatto propria la retorica della grandezza e della ricchezza, della “bellezza materiale che richiami la bellezza dei Cieli”, e che ora si ritrova con un Papa che “sogna una Chiesa povera”… “Fino a oggi abbiamo sbagliato?” è la domanda che sorge spontanea. Un cristiano dovrebbe esser fiero di – finalmente – negare se stesso, se questa è la via – secondo i Vangeli – di realizzare se stessi.
Ma è una riflessione laica quella che la storia di Francesco d’Assisi suggerisce a tutti noi: la nostra personalità e i nostri desideri sono condizionati da un insieme di retaggi e suggestioni, ma sotto uno strato più o meno spesso di schemi mentali calcificati e convinzioni c’è un “io” che aspetta solo di sbocciare e condurci a ciò che veramente aspiriamo a essere: noi stessi.