C’è un punto di partenza obbligatorio per comprendere appieno questo opuscolo, di qualche anno fa, del filosofo Hans Jonas e dal titolo molto emotivo “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”.
La premessa è essere coscienti di trovarsi in ambito ebraico e non cristiano, per cui non è possibile fare alcun riferimento al peccato originale o, quantomeno, farlo nel modo in cui lo stesso è noto nella religione cristiana, per trovare una qualche giustificazione alla presenza del male nel mondo.
Da questo punto di partenza, su cosa specula Jonas?
Se il Dio ebraico è un Dio che interviene nel mondo per correre in aiuto del suo popolo; se è un Dio che può essere umanamente compreso con la mente; se è un Dio che si cura ed è coinvolto in ciò di cui si preoccupa, com’è possibile, allora, che abbia permesso il verificarsi della Shoa?
È questa la considerazione che muove Jonas a rivedere il concetto del Dio ebraico, di un Dio i cui caratteri essenziali ed ontologici sono la bontà, l’onnipotenza e la comprensibilità.
Ma prima di soffermarsi sull’impossibile, contemporanea, coesistenza di queste tre qualità in Dio, l’Autore parla di un Dio sofferente e di un Dio diveniente: è la stessa creazione del mondo che comporta sofferenza in Dio ed è l’esperienza che Dio fa dell’uomo e di ciò che accade nel mondo che lo porta a ‘temporalizzarsi’ e a non essere mai lo stesso.
Il precipitato, non palesato, di tale considerazione è inevitabilmente quello per cui, se è vero che Dio – in quanto Realtà ultima – è costitutivo del mondo e dell’uomo, è anche vero che l’uomo è costitutivo di Dio: per avere contezza di se stesso, Dio deve avere un entità che eserciti resistenza, altrimenti si sarebbe in presenza di un’entità vuota ed autoreferenziale.
Ecco perché Dio soffre. Ma non in chiave escatologica, bensì nell’al di qua, unico posto in cui può entrare in relazione con qualcosa di altro rispetto a se stesso.
Se così è, allora è impossibile non essere d’accordo con quanto affermato dal filosofo: i tre attributi riconosciuti a Dio (bontà assoluta, potenza assoluta e comprensibilità) non possono coesistere assieme.
Se Dio è buono ed onnipotente, è incomprensibile come abbia permesso che milioni di persone morissero nelle camere a gas. Se Dio è onnipotente e comprensibile, allora è un Dio malvagio.
Il percorso argomentativo con cui si perviene alla conclusione di un Dio, che per sua decisione, non è onnipotente è un piacere che spetterà al lettore scoprire nelle pagine di quest’opera.