L’altra faccia della stessa medaglia. E’ stato pubblicato un rapporto Eurispes che ha preso in esame la differenza tra ricchezza, redditi dichiarati e tenore di vita degli italiani con risultanze assai interessanti se rapportate all’area di riferimento oggetto dello studio che confrontando le situazioni reddituali di una famiglia tipo e rapportandole a diverse zone del territorio (nord – centro – sud) ha scoperto che questa, 1 volta su 3, non ha le risorse sufficienti a fare fronte alle spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Motivo per cui moltissime famiglie si spingono a cercare altre risorse attraverso due principali canali : un doppio lavoro o attraverso il ricorso all’indebitamento personale. Ed il dato più sorprendente è che emergono differenziali significativi tra le diverse regioni sancendo che il primato assoluto spetta alle regioni del mezzogiorno, con Puglia, Sicilia, Campania e Calabria decisamente in testa rapportando un valore di sommerso superiore a 50 punti, mentre al contrario, lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa (indice di una ricchezza familiare “non dichiarata” ) è stata rilevata quale decisamente minore nelle regioni del Centro Nord, con evidenza della Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, con picchi che oscillano tra 1 e 16 punti.
Ecco che l’effetto dell’impennata del costo della vita, le congiunture macroeconomiche, l’andamento inflazionistico e la conseguente riduzione del potere d’acquisto sono le principali cause a cui imputare questo fenomeno che permette solo ad un terzo delle famiglie italiane di riuscire ad arrivare con serenità alla fine del mese, mentre tocca ad un italiano su quattro l’obbligo a dover ricorrere ad altri “artifizi” per sbarcare il lunario. Ed ecco quindi affacciarsi il sommerso, che solo nell’ultimo anno l’istituto di Via Orazio stima nel nostro paese ammontare a circa 530 miliardi di euro, pari al 35% del Pil ufficiale che si attesta intorno ai 1.540mld ed al quale và sommato quello criminale, il cui fatturato viene stimato in almeno 200 miliardi di euro annui, i cui proventi vengono nuovamente riattivati all’interno del circuito dell’economia legale attraverso le diverse operazioni di riciclaggio. Praticamente ci si trova di fronte ad un sistema economico parallelo, che spazia dall’agricoltura all’edilizia, dai servizi all’industria, nelle forme del lavoro nero continuativo, del doppio lavoro e del lavoro nero saltuario, e che vede interessati una molteplicità di soggetti (dai giovani inoccupati ai disoccupati, dai cassaintegrati, ai lavoratori in mobilità, dagli extracomunitari non regolari, agli studenti, ma anche pensionati, casalinghe, lavoratori dipendenti ed autonomi con lavoro regolare). Un esercito che spazia dai doppiolavoristi, al lavoro degli immigrati, dai pensionati ancora in attività alle casalinghe occupate, dai finti disoccupati a chi si vuol rendere in tutti i modi indipendente (ambulanti, piccoli artigiani, insegnati privati, camerieri, cuochi, infermieri e lavoratori a domicilio solo per citarne alcuni) per finire agli affitti in nero.
Lo studio evidenzia molto chiaramente che – “ le misure economiche adottate dal Paese negli ultimi anni, oltre ad innescare una pericolosa spirale recessiva e a rendere impossibile qualunque intervento a sostegno della domanda interna o al sistema imprenditoriale, stanno spingendo nell’area del sommerso parte della produzione e della ricchezza del Paese. La necessità di risanamento dei conti pubblici, soprattutto in riferimento alla dimensione del debito pubblico italiano, sta determinando un contesto particolarmente ostativo per chi produce e fa impresa nel nostro Paese. L’aumento della pressione fiscale a livelli definiti da tutti insopportabili, la mancanza di una domanda interna sostenuta, una burocrazia lenta ed estenuante, una dotazione infrastrutturale assolutamente inadeguata, stanno determinando un contesto in cui paradossalmente sottrarsi alla dimensione pubblica delle attività produttive può risultare estremamente conveniente, almeno nel breve periodo “ – . Pratiche che evidentemente sottraggono ricchezza nazionale, occultano capitali alla tassazione collettiva e rendono sempre più indisponibili i servizi essenziali per i cittadini, tra cui anche loro stessi, a cui poi non giova lamentarsi che gli ospedali siano sforniti del necessario o che le scuole pubbliche non offrano strutture ed insegnati di qualità per i propri figli, oppure ancora che le strade che quotidianamente percorrono non siano decentemente asfaltate. Solo allora taluni galantuomini si ricorderanno di averli goduti ed in anticipo ogni qual volta, e senza tanti riguardi, si sono messi in tasca (ed all’oscuro) un pezzo di servizio pubblico. gc